Correva il gennaio 2002. Durante le vacanze di Natale un casuale gruppo di amici si ritrova in una casa e inventa un gioco di società a tre manche composto di parole difficili da far indovinare al compagno di squadra. Sono un epidemiologo, una giornalista, un grafico, una montatrice, un’architetto, una documentarista, un ufficio stampa, uno sceneggiatore. Per una stagione ci si vede una volta a settimana in una casa a rotazione, si stabiliscono regole precise. Mattia Torre, autore geniale di Boris, la serie televisiva che ha fatto scuola, è uno dei fondatori del gioco dei bigliettini e anche io sono orgogliosa di farne parte. Mattia è morto e la cosa non sembra neanche vera. Provo una vertigine per quanto ho ancora bisogno delle sue idee libere e fondanti, del suo uso della parola per raccontare il mondo a tratti surreale che stiamo vivendo.

MATTIA È IRONICO come nessun altro, spiritoso, sagace, fertile e illuminato: Mattia sa vedere il bello e il brutto della vita e il secondo lo fa più ridere. Mattia inizia a scrivere in trio (formula difficilissima) con Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo e nel 2002 nasce Piovono mucche, delicato gioiellino su una comunità di disabili mentali. Qualche tempo dopo vado al teatro Valle a sentire un monologo recitato da un attore buffo con una chioma inafferrabile di ricci neri, Valerio Aprea: si intitola In mezzo al mare (2003) (come la raccolta di testi teatrali appena uscita da Mondadori), è spiazzante come una zattera nella bufera ed è firmato mirabilmente da Mattia Torre. Ogni tanto continuiamo a vederci la sera per giocare ma siamo diventati troppo amici e ci perdiamo in chiacchiere, consigli, scemenze leggere, ricordi.

Mattia dipinge su Valerio Mastandrea il personaggio di Migliore, monologo dissacrante che va in scena nel 2005. Tra teatro e progetti di scrittura incontra la donna della sua vita e la sposa. L’amore acuisce la vena fruttuosa e, in combutta coi soci Ciarrapico e Vendruscolo, partorisce Boris (2007), il pesciolino rosso che nuota in tondo nella boule di René Ferretti, regista de «Gli occhi del cuore 2», pessima fiction televisiva, di cui si narrano le vicende da dietro le quinte. Perfetta satira del mondo televisivo che sfiora il paradosso e che si mangia la coda – una fiction sulla fiction – contiene chicche indimenticabili e battute diventate di culto. Per la piéce 456 (2011) inventa una lingua, mix di sonorità dialettali non meglio identificate.

IL SUCCESSO non confonde la scala di valori di un talento generoso e godurioso, re della sua corte di attori e comprimari, Mattia a cena al ristorante (attività che adorava) tra un bicchiere di vino e una portata gustosa può portare a galla suggestioni che lasciano il segno. Con Corrado Guzzanti – conosciuto negli anni della collaborazione con Serena Dandini a Parla con lei – produce Dov’è Mario? (2016), mini serie Sky, in cui il protagonista Mario Bambea subisce uno sdoppiamento di personalità da intellettuale di sinistra a stand-up comedian di infima categoria. Un anno e mezzo fa ha raccontato in maniera traslata la malattia, ne La linea verticale (2017), protagonista di nuovo Mastandrea, suo alter ego magister.

La sanità vista dal lato positivo, la verità del racconto autobiografico, l’ironica diatriba tra oncologi e chirurghi e molto altro fanno degli otto episodi un racconto di rara potenza sulla malattia più bastarda che ci sia, quella che lo ha portato via per sempre. Torneremo a giocare insieme, Mattia, lo so, ma adesso che male… Oggi la Rai gli tributa un omaggio, riproponendo su Rai3 dalle 15 alle 18 le otto puntate della Linea Verticale, mentre Sky – sempre oggi- su Sky Atlantic dalle 18.10 trasmette i quattro episodi Dov’è Mario?