«Il Pd corre grandi rischi, prima della fine dell’anno sarà impossibile fare le primarie. E in questo lunghissimo periodo ci giochiamo l’esistenza stessa del partito, per evitarlo serve una grande responsabilità di tutto il gruppo dirigente». Matteo Ricci, primo cittadino di Pesaro e coordinatore dei sindaci Pd, è stato molto vicino a Nicola Zingaretti in questi due anni.

Le dimissioni erano proprio inevitabili?

Dobbiamo essere innanzitutto rispettosi per una scelta personale non facile di Nicola. Io continuo a sperare che ci ripensi, ma so che è molto difficile.

Zingaretti sostiene che l’assemblea – da statuto – non può respingere le dimissioni.

Ma l’assemblea, il popolo del Pd, le hanno già respinte, stanno arrivando migliaia di messaggi. Il problema non è tecnico. Lui non si è dimesso per capriccio, ha posto un tema politico: come si sta dentro il Pd. Tra i militanti c’è grande scoramento perché è un copione già visto: ogni volta che c’è un leader parte un logoramento che porta a decisioni drammatiche. Ma se non si trova un modo per gestire il dibattito interno passa l’idea che possano sopravvivere solo i partiti del leader, come la Lega.

Insisto: crede che le critiche che Zingaretti ha ricevuto fossero così gravi da motivare una scelta del genere?

Non lo dica a me, io gli avevo consigliato di rilanciare, non di dimettersi. Lui aveva proposto un congresso tematico senza mettere in gioco la segreteria, ma la minoranza non ne ha voluto sapere: Nicola l’ha interpretata come una sfiducia, ha visto il rischio di un lungo periodo di fibrillazione. Ha pensato che facendosi da parte avrebbe protetto il Pd, ma è una scommessa rischiosa perché adesso senza un leader riconosciuto rischiamo di sbandare.

Perché sarebbe in gioco la sopravvivenza del partito?

Un leader non si inventa dalla mattina alla sera, e da qui a novembre può succedere di tutto. Con la nascita del governo Draghi è in corso una scomposizione del quadro politico. Qualcuno pensa che questo “governo di tutti” possa diventare un progetto politico, un grande soggetto moderato. E questo traguardo richiede la scomposizione del Pd. Io invece ritengo che noi dobbiamo restare il pilastro di un polo progressista alternativo alle destre.

Anche tra di voi c’è chi lavora al grande centro?

Soprattutto fuori. Renzi è uno dei capofila di questo progetto, ha fatto cadere Conte proprio per creare nuovi equilibri.

I renziani ancora dentro il Pd concordano?

Se qualcuno lo pensa spero che venga allo scoperto, che al congresso ci si possa confrontare su questo con franchezza.

Zingaretti ha pagato la fedeltà a un progetto di centrosinistra anche con M5S e Leu?

Diciamoci la verità, ma chi ha proposto una linea realmente alternativa? Nessuno ha contestato il sostegno al governo Conte o propone di non allearci più con il M5S. E nessuno ha il coraggio di proporre una nuova alleanza con Renzi, con cui si è prodotta una rottura insanabile. Il dibattito semmai è se dobbiamo diventare Draghi boys o mantenere un profilo più autonomo.

Forse è il progetto del Pd che è arrivato al capolinea?

Non credo proprio. In Italia la forza progressista, europeista, ambientalista è il Pd, sono questi i nuovi assi fondamentali. Certo, adesso bisogna ragionare sulla nostra funzione nella società post Covid, sui nuovi bisogni sociali. Si poteva fare, ma servivano toni diversi.

Bonaccini dice che dovete occuparvi di Covid, di lavoro, di scuole. Non avvitarvi su voi stessi.

Ma anche lui è entrato più volte nel dibattito interno, anche lui ha fatto errori come tanti. La casa comune sta andando a fuoco, tutti dovremmo fare un bagno di umiltà, prendere gli estintori in mano.

Chi ha sparato sul quartier generale in questi mesi è stato irresponsabile?

La verità è che Nicola ha sorpreso anche i suoi critici, nessuno pensava arrivasse a tanto.

Che succederà all’assemblea nazionale?

Penso che sarà eletto un segretario che ci porterà al congresso a fine anno. Un traghettatore, che non potrà però essere lasciato solo. Se non c’è un impegno di tutti rischiamo di ritrovarci senza più il partito.