«Fino a domenica sera litigare sulla legge elettorale non serve. Aspettiamo i risultati delle primarie, poi vedremo». Vedremo: un cuperliano doc declina così la domanda sui destini della legge elettorale. Perché il fulmine con cui la Consulta ha incenerito il Porcellum ha anche illuminato con il suo lampo lo scontro che da anni, fin almeno dalla fondazione nel 2007, cova nel Pd sulla legge elettorale. Oggi il Mattarellum, sul quale ormai anche Grillo dirotta i suoi voti, ha la stragrande maggioranza alla camera: Pd+Sel+M5S. Ma è una somma impossibile per Letta, e il risultato fa il ’governo di combattimento’ vagheggiato da Bersani dopo il voto.

Cioè una maggioranza opposta alle larghe intese che manderebbe in tilt il governo già impegnato a difendersi dalla guerriglia grillina – già iniziata ieri – al grido di «parlamento illegittimo». Insomma: Beirut, con il rischio di precipizio verso il voto con la legge proporzionale che la Consulta ha disegnato con la sentenza di mercoledì. Una legge difesa apertamente solo dai comunisti ’extraparlamentari’ di Prc e Pdci. Ma che a una parte dei sostenitori di Cuperlo non dispiace affatto, naturalmente a patto di ammetterlo a microfoni spenti. Evitando persino di scherzarci sui social network, dove impazzano le ironie sul ritorno alla Prima Repubblica.

Ieri sono stati i renziani a rivelare questo segreto di Pulcinella dopo lo scontro al senato con la presidente Anna Finocchiaro che ha inchiavardato la legge elettorale a un presunto accordo possibile a Palazzo Madama, contro la capigruppo dei deputati che ha calendarizzato a sua volta la discussione a Montecitorio, salvo accordo fra presidenti. «Cuperlo dica qual è la sua posizione sulla legge elettorale. A parole è per il doppio turno. Nei fatti i suoi sostenitori in senato lavorano per il proporzionale con Calderoli, Alfano e a Forza Italia», è esploso Andrea Marcucci. Secondo lui «alcuni esponenti Pd» lavorano «ad affondare la proposta del partito» e consegnare «tramite il ritorno al proporzionale, a larghe intese a vita».

Nessuna replica da casa Cuperlo, dove tutti sono nei collegi a testa bassa per le ultime iniziative prima dell’apertura dei gazebo. Lui, invece, il candidato (che chiude a Bologna con il governatore Vasco Errani, fin qui tiepidino con lui e affaccendato con le vicende delle spese pazze dei suoi consiglieri), si smarca dalla critica di Renzi ai «signoroni di Roma», e cioè ai giudici costituzionali, e ripete la sua preferenza per il doppio turno di collegio. E per il Mattarellum: ma dopo, «se non sarà possibile».

Che il proporzionale versione Consulta tenti, pure senza speranza, una parte del Pd – favorevole al parlamentarismo spinto, e quindi a far nascere i governi e le maggioranze in parlamento dopo il voto – lo rivela anche l’appello di Napolitano ai parlamentari a mostrare «un’espressione di volontà attenta a ribadire il già sancito, dal 1993, superamento del sistema proporzionale». Suona come una garanzia offerta a Renzi. E infatti con lui si schierano renziani colti come Giorgio Tonini, già braccio destro di Veltroni e a suo tempo promotore dei referendum per il ritorno al Mattarellum (bocciati nel 2012 proprio dalla Consulta). Il proporzionale renderebbe le larghe intese « una condizione permanente e strutturale», quindi «serve uno scatto di orgoglio della politica: riformare il Porcellum, confermare il superamento del proporzionale in senso maggioritario e inserirlo nel quadro di una riforma costituzionale».Tempi lunghi. E dunque il voto non è all’orizzonte neanche per i futuri vincitori del congresso.

Lo conferma persino Matteo Renzi, che chiuderà oggi la sua lunga marcia al veltronianissimo Lingotto di Torino. «La Corte costituzionale ha rimesso la palla nel campo del parlamento. E io penso che il parlamento riuscirà ad essere serio, non perché sono ottimista ma perché ci sono tanti gruppi che hanno una fifa matta di tornare alle elezioni». Una legge ci sarà, mancherebbe. Però non subito. E nel Pd si scavano già nuove trincee.