La data naturale del voto? «Tra febbraio e inizio primavera». E per quella data Sergio Mattarella vuole «una legge elettorale che omogeneizzi il sistema elettorale per le due Camere». Dal Canada il presidente risponde alla domanda di un giornalista di Bloomberg e conferma di volere almeno l’omogeneizzazione tra le due leggi e così facendo sottrae di fatto la rete di protezione del «Consultellum così com’è».

Nello stessa giornata, poche ore prima, era stato Romano Prodi a indicare la posta in gioco: «O abbiamo una legge elettorale che ci obbliga a accorpamenti o mica c’è niente da fare. In un Paese frammentato la legge elettorale non è fatta per fotografare il Paese ma per dare un governo stabile. Nel lungo periodo il problema italiano è solo la stabilità dell’autorità». Oggi Prodi non sarà in piazza Santi Apostoli, con l’armata antirenziana. Ma quello che doveva dire l’ha detto.
Per la verità non è che la sua esperienza lo renda il miglior testimonial del prodotto che va propagandando. I suoi due governi, entrambi fondati su coalizioni, non hanno brillato per stabilità. È l’argomento adoperato da Renzi per rintuzzare le offensive. In questo caso, però, né il segretario né il suo stato maggiore alzano il tiro e anzi il vicesegretario Guerini si mostra quasi disponibile. Il maggioritario di coalizione, ricorda, «è la proposta che abbiamo fatto noi, prima con il Mattarellum e poi con il Rosatellum. Siamo stati lasciati soli e ci siamo detti disponibili su una legge proporzionale che non ci piaceva. Ma se in parlamento emerge una proposta siamo pronti a discuterne».

Sono toni e contenuti ben diversi da quelli caustici con cui Renzi ha sempre affossato ogni idea di «ammucchiata». Tanto da autorizzare il dubbio che oggi, da Milano, al termine dell’assemblea dei Circoli del Pd, il segretario decida di spiazzare quelli che considera «complottisti» e «assedianti» con un’apertura sul maggioritario e sulle coalizioni. Dal quartier generale non confermano ma neppure smentiscono. È evidente che gli ufficiali più morbidi come Richetti ci sperano e i falchi come Orfini lo temono.

Si tratterebbe certo di un’apertura in larga misura posticcia, fatta per scivolare via dalla presa di Prodi e dei maggioritari interni ed esterni al Pd. Servirebbe a dimostrare che a rendere impraticabile il percorso tratteggiato dal Professore non è la cattiva volontà ma l’impossibilità materiale, a fronte del prevedibile pollice verso degli altri due partiti maggiori: M5S e Forza Italia.

Ma anche se finta o quasi, un’apertura in questo senso di Renzi non resterebbe senza conseguenze. Metterebbe definitivamente fuori gioco quella legge proporzionale sulla quale Berlusconi ancora punta, come ha dichiarato forte e chiaro nella lunga intervista pubblicata ieri dal Corriere della Sera. L’ex Cavaliere procede imperterrito sulla rotta da lui stesso tracciata, senza deviare di un millimetro per le elezioni vinte grazie al modello Toti o per i ruggiti di Salvini: coalizione moderata «ancorata al Ppe», lui stesso «in campo a guidare la campagna elettorale» in ogni caso, anche se Strasburgo non gli renderà la possibilità di candidarsi, e per finire «sistema tedesco sul quale tutti i partiti fino a 15 giorni fa erano d’accordo: qualcuno deve spiegarmi cos’è cambiato».

La martellante insistenza di Berlusconi ha un doppio obiettivo: ostacolare ogni possibile sterzata nella direzione indicata da Prodi ma anche forzare la mano a un Renzi che, nei colloqui indiretti ma serrati delle ultime settimane, non ha mai escluso la possibilità di riprovarci col tedesco, pur manifestando enormi preoccupazioni per le reazioni all’interno del suo partito. Preoccupazioni che, dopo il bombardamento dei pezzi da novanta ex ulivisti di questi giorni, non possono che essersi moltiplicate.

Una pur cauta apertura ai prodiani da parte di Renzi oggi significherebbe sbarrare definitivamente il sentiero che Berlusconi sogna di riaprire. Ma chi conosce il ragazzo di Rignano scommette che non ci sarà nessuna apertura: troppo rischioso.