Un disegno di legge costituzionale, come quello depositato dai senatori Pd Zanda e Parrini, ha bisogno di molto tempo per essere discusso ed eventualmente approvato. E seppure a gennaio dovesse partire l’esame del progetto che, riprendendo gli auspici di Mattarella, cancella il semestre bianco ed esclude la rielezione del capo dello Stato, il presidente in carica non potrebbe che trarne una «ulteriore conferma delle sue ben note opinioni». Altro che ripensarci e concedere un ultimo bis, Mattarella saluterebbe con ancor più convinzione.

Lo «stupore» del presidente della Repubblica, che trapela dal Quirinale in modo inusuale e dunque significativo, dipende dal fatto che l’ipotesi di un suo secondo mandato non smette di circolare. Malgrado lui abbia prima alluso poi detto sempre più esplicitamente che questa ipotesi non esiste. Il presidente non è disponibile. Di più, considera il bis al Quirinale qualcosa di estraneo alla Costituzione, che non lo esclude ma nemmeno lo prevede. Il precedente dei due anni supplementari di Napolitano non può servire a tenere aperto uno spiraglio, al contrario per Mattarella sbarra il portone. Perché un’eccezione se è ripetuta diventa una prassi.

Eppure in parlamento se ne parla ancora. E se ne parla perché chi pensa che Draghi non debba o non possa essere eletto al Quirinale – perché deve continuare a svolgere il suo lavoro a palazzo Chigi o perché tolto lui le elezioni anticipate potrebbero essere inevitabili – non ha un’alternativa solida da mettere in campo. Ecco allora che l’idea che Mattarella alla fine, di fronte allo stallo dei grandi elettori, possa ancora cambiare idea, non tramonta mai del tutto. E non tramontando, a dispetto delle smentite preventive del presidente – che ha confessato di essere stanco e ha già trovato casa fuori dal Quirinale – finisce per avvicinare lo scenario dello stallo. Perché tanto alla fine c’è lui.

I ripetuti segnali di smarcamento di pezzi della maggioranza (su praticamente tutti gli ultimi provvedimenti nelle commissioni e in aula) vanno in questa direzione. Sono una prova di forza dei franchi tiratori, un avvertimento: possiamo impallinare qualsiasi candidato. Il messaggio è rivolto soprattutto a un candidato, che sembrerebbe altrimenti invincibile. Proprio Draghi, che però ha ancora una carta fortissima da giocare: far capire che al contrario di quello che si dice, proprio una sua bocciatura sulla strada del Colle renderebbe inevitabili crisi ed elezioni anticipate. Se nel prossimo mese – il 4 gennaio il presidente Fico convocherà parlamento e delegati regionali in seduta comune, aprendo ufficialmente le danze – Draghi riuscirà a convincere deputati e senatori che con lui al Quirinale e una sua ministra o un suo ministro a palazzo Chigi la stabilità è garantita, allora lo scenario si rovescerebbe. E quelli che oggi nel Palazzo si chiamano i «ttd» (tutto tranne Draghi) si convincerebbero che l’elezione di Draghi al primo turno (come Ciampi, altro ex governatore della Banca d’Italia) è la migliore assicurazione su quel che resta della legislatura.