Bisogna tener conto dei toni estremamente prudenti usati di solito dall’inquilino del Quirinale per capire fino in fondo quanto le parole pronunciate ieri da Sergio Mattarella tradiscano la preoccupazione per la posizione del governo gialloverde sulla crisi venezuelana. Posizione di apparente «neutralità» dalla quale il Colle sembra prendere decisamente le distanze. «Non ci può essere incertezza né esitazione» avverte infatti il presidente, che spiega come sia ormai arrivato il momento di scegliere tra «la volontà popolare e la richiesta di autentica democrazia da un lato e dall’altro la violenza della forza». Per Mattarella serve quindi «chiarezza su una linea condivisa con tutti i nostri alleati e i nostri partner dell’Unione europea».

Dietro al messaggio dai toni insolitamente ruvidi inviato al premier Giuseppe Conte e ai vicepremier Salvini e Di Maio, c’è la preoccupazione di Mattarella nel vedere un esecutivo sempre più diviso e pronto a litigare su tutto, ma anche un Paese, l’Italia, sempre più isolato e in rotta di collisione con l’ Europa, dallo scontro sulla Tav per finire, appunto, con il Venezuela. In entrambi i casi gli esempi non mancano. Ieri, mentre Alessandro Di Battista difendeva la posizione filo Maduro e contraria al riconoscimento di Juan Guaidò del M5S affermando che «ci vuole coraggio a mantenere una posizione neutrale in questo momento, lo so. L’Italia non è abituata a farlo», Matteo Salvini liquidava il presidente venezuelano come «uno degli ultimi dittatori di sinistra rimasti in giro, che governa con la forza e affama il suo popolo».

Contemporaneamente a Bruxelles, dopo averne ritardato l’adozione per tutto il giorno, l’Italia bloccava una dichiarazione con la quale l’Ue ribadiva il suo «sostegno all’Assemblea nazionale al suo presidente» chiedendo nuove e «democratiche» elezioni presidenziali.
Giovedì il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi sarà a Montevideo, in Uruguay, per partecipare insieme all’Alto rappresentante per la politica estera Ue Federica Mogherini al Gruppo di contatto internazionale sul Venezuela (presenti anche Francia, Germania, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svezia, Regno Unito insieme a Bolivia, Costarica, Ecuador e Uruguay). Intanto però la sua presenza è stata richiesta anche in parlamento insieme a quella del premier Conte.

A chiederla, tra gli altri, è stato il Pd che ha anche presentato una mozione in cui – in linea con Mattarella, si chiede «l’assunzione di una linea di azione diplomatica con i partner europei». «E’ sconcertante il silenzio del governo, la sua titubanza e l’incertezza che sta determinando anche su un tema così delicato come la crisi in Venezuela», ha spiegato il candidato alla segreteria Maurizio Martina. «Stop alla dittatura di Maduro», scrive invece su Twitter l’ex segretario Matteo Renzi affermando di provare «imbarazzo e vergogna per al posizione italiana».

Una posizione che per una volta accomuna tutta l’opposizione. Anche Forza Italia presenta al Senato una mozione per chiedere il riconoscimento di Guaidò come presidente ad interim, mentre a sera Matteo Salvini ammette: «Sul Venezuela abbiamo fatto una figuraccia, è vero. Non stiamo facendo una bella figura».

Non a pensano evidentemente così i senatori pentastellati presenti in commissione Esteri, che si allineano invece a Di Battista: «Non riconoscere la presidenza Guaidò – scrivono – non significa rimanere neutrali né, tantomeno, appoggiare Maduro: significa sostenere con fermezza la strada del dialogo e della non ingerenza per scongiurare una situazione che, in assenza di accordo tra le parti, rischia di condurre il Venezuela verso una guerra civile e magari un intervento militare esterno»