Trattativa infinita tra governo e regioni su cosa chiudere col prossimo Dcpm, ma soprattutto su chi metterà la firma sulle decisioni. Con i governatori che, un po’ a sorpresa, hanno chiesto in coro ieri alla riunione con l’esecutivo e i Comuni che ci sia «una decisione omogenea a livello nazionale». L’esatto contrario di quello che intende fare Giuseppe Conte, convinto che -a differenza di marzo- non sia più il tempo di decisioni uguali per tutta l’Italia e che la penisola vada divisa in tre aree a seconda della diffusione del virus.

E così succede che Vincenzo De Luca, il primo a chiudere le scuole in solitaria in Campania rivendicando la sua autonomia, ieri abbia chiesto a gran voce che decida il governo. Sostenuto da insoliti “alleati” come il collega lombardo Attilio Fontana (Lega) che ha parlato di una riunione «interlocutoria», per poi ammettere che «il governo non ha accolto la richiesta delle regioni di agire con scelte nazionali».

ALLA FINE DEL BRACCIO DI FERRO (anche se il veneto Luca Zaia nega che ci sia stata tensione) la soluzione è salomonica: per le regioni più a rischio le ulteriori strette saranno decise con ordinanze del ministro della Salute Speranza in tandem con i presidenti delle regioni interessate.

UN EQUILIBRIO DELICATO e fragile, che tuttavia garantisce ai governatori di poter dividere la responsabilità e gli oneri con il governo di Roma, in caso di proteste o rivolte. In cambio le regioni chiedono di poter gestire i ristori -o almeno una cospicua parte-in modo da poter mettere la faccia con le categorie interessate da ulteriori restrizioni.

Altro nodo sono le scuole, con il ligure Giovanni Toti contrario alla didattica a distanza. Tensione anche sui medici di base e sulla decisione di fare i tamponi rapidi nei loro ambulatori. Alcuni governatori hanno portato al tavolo i dubbi dei camici bianchi, ma il ministro Speranza ha difeso l’accordo nazionale di pochi giorni fa.

E POI C’È IL CONVITATO di pietra: cosa accadrà nelle regioni più a rischio? «Il problema è che in questo momento non si capisce di quali provvedimenti esattamente si tratti», sintetizza il sindaco di Bergamo Giorgio Gori. Mentre il capogruppo del Pd alla Camera Graziano Delrio sprona il premier Conte: «Se le regioni non saranno in grado di fare le scelte che la salute dei cittadini richiede, lo Stato si prenda la responsabilità di farlo in loro vece». Tra le ipotesi c’è che le aree più a rischio- tra queste Lombardia, Piemonte e Calabria- possano entrare di nuovo in lockdown.O magari singole province. Ma Zaia avverte: «Noi non chiuderemo le attività produttive».

Il rischio di confusione è tale che Sergio Mattarella incontra (online) il presidente della conferenza delle regioni Stefano Bonaccini e il suo vice Toti. Nel corso della conversazione, si legge in una nota, «è stato ribadito il ruolo decisivo delle regioni nel fronteggiare la pandemia. Ed è stata auspicata la più stretta collaborazione tra tutte le istituzioni dello Stato».

UN RICHIAMO, quello di Mattarela, che non ha nulla di usuale. Ma che segnala la gravità e i rischi di questa fase. Bonaccini ha subito fatto sapere di «condividere l’auspicio» e ha aggiunto: «Ora più che mai serve mettere da parte appartenenze politiche o geografiche per pensare al bene del Paese e lavorare uniti». Il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia prova a rassicurare i presidenti: «Da parte del governo c’è la totale disponibilità nel garantire ristori in tempi immediati per le attività dei territori che attueranno misure ulteriormente restrittive». «Rigore massimo e leale collaborazione tra istituzioni», ripete il ministro.

In realtà i governatori ancora aspettano di capire cosa accadrà; il Dpcm potrebbe slittare a mercoledì, ancora non è chiaro se il nuovo round di trattative ci sarà dopo la firma o se sarà possibile discutere. L’impegno del governo è a varare criteri certi (tra questi l’indice Rt ma anche la saturazione degli ospedali) per far scattare le ulteriori tagliole nelle zone più a rischio. In modo che nessuno- almeno tra le istituzioni- possa poi alzarsi e dire che non era d’accordo. Ma il rischio anarchia resta dietro l’angolo.