Parole laicamente sante quelle del presidente Mattarella, pronunciate durante la cerimonia del Ventaglio, sui temi dell’informazione. Anzi, su entrambi i versanti che premono sull’infosfera: i media classici e innanzitutto l’editoria; gli Over The Top, vale a dire gli oligarchi prepotenti della rete.

Sul primo punto il riferimento è assai chiaro. Gli editori, sui quali pesa l’onere di far quadrare i conti in un’epoca di grande crisi del settore, hanno il diritto di ricevere concreta attenzione da parte delle istituzioni. A maggior ragione confortato dal giudizio della Corte in merito alla necessità di salvaguardare le risorse per i giornali.

Nella pratica quotidiana sta avvenendo, però, il contrario: tagli, bavagli, incertezza sul futuro dell’istituto previdenziale, precariato devastante. Permane, con ossessiva determinazione, l’amputazione del fondo per il pluralismo e l’innovazione, che – salvo ripensamenti nella prossima legge di bilancio-lascerà sul campo, già il prossimo anno, morti e feriti. Stiamo parlando di testate locali o nazionali ( tra cui il manifesto e Avvenire), nonché di un migliaio di giornalisti e tecnici coinvolti. Importante, dunque, il richiamo di Sergio Mattarella, che dovrebbe per lo meno invitare ad una maggiore cautela il sottosegretario con delega Vito Crimi. Proprio l’impetuoso vortice del capitalismo digitale esigerebbe un surplus di politiche pubbliche, in luogo del curioso populismo liberista oggi in voga.

Sul nodo cruciale dell’era dei numeri e degli algoritmi il Presidente ha sferrato un colpo assai netto. I padroni della Rete devono rispondere a regole e norme precise, indispensabili per garantire l’autonomia di scelta e di giudizio delle persone: cittadini consapevoli, non corpi di sudditi naviganti. Non solo l’indispensabile reazione alla degenerazione del bullismo e dell’odio in rete. Non solo la lotta contro le fake news o la profilazione dolosa finalizzata a coartare l’opinione pubblica: vedi il caso di Cambridge Analytica, che è costato una multa miliardaria a Facebook.
Si tratta di immaginare un vero e proprio corpo ordinamentale adatto all’età digitale. Lo stesso discorso giuridico è tuttora, almeno in gran parte, ancorato ai vincoli e agli stili del lungo periodo analogico. Guai a commettere un errore omologo a quello che negli anni settanta portò alla sottovalutazione del fenomeno della televisione commerciale. Così ora sarebbe esiziale continuare a scambiare Internet con la terra della libertà.

Lo era all’inizio, ma l’assenza di un approccio adeguato ha aperto il varco ai conquistatori di oggi, i proprietari dei dati e degli algoritmi. E colpiti sono innanzitutto gli utenti civili e interessati alla partecipazione civile. Non a caso la senatrice democratica statunitense Elisabeth Warren ha proposto di suddividere la proprietà del colosso di Mark Zuckerberg, divenuto ormai il più grande e potente paese del mondo: due miliardi e quasi un altro mezzo di associati e visitatori. Dunque, ci si metta al lavoro, per tutelare l’ecosistema e la biodiversità digitale.

Il Presidente ci ha consegnato, poi, un riferimento prezioso: la sentenza della Corte suprema degli Stati uniti ( il giudice Black nel 1971 intervenne sul caso dei papers sul Vietnam, dichiarando legittime le inchieste, in nome del primo emendamento della Costituzione). Insomma, il “contropotere” è l’essenza profonda del diritto all’informazione.

Chissà se quella sentenza sarà ricordata pure sulla vicenda – al di là delle differenze- di Julian Assange, su cui incombono estradizione e cent’anni di solitudine carceraria, nel silenzio generale.
Grazie a Sergio Mattarella. E’ augurabile che l’autorità del Quirinale comporti un cambio di passo e di approccio anche in Palazzi contigui.