Scioperi della fame, appelli, petizioni, migliaia di lettere, richieste di incontro da parte di Sel, della Lega Nord e dell’ex giudice Ferdinando Imposimato. Tutto inutile. Com’era prevedibile il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non ha ascoltato nessuno e lunedì sera ha firmato la riforma Renzi-Giannini sulla scuola. La riforma più odiata che ha prodotto il movimento di contestazione più vasto nella società italiana dai tempi della riforma Gelmini è legge.

«Gli analisti dicevano che la riforma della scuola era morta – ha commentato stizzito il presidente del Consiglio Matteo Renzi – Nel giro di due mesi abbiamo portato a casa la legge come stiamo per portare a casa la riforma della Pubblica amministrazione. Noi questo Paese lo cambiamo, piaccia o non piaccia». La ministra dell’Istruzione Stefania Giannini sostiene di potere «dimostrare nei fatti, con un dialogo aperto e costante con la scuola e la società italiana».

Per dare l’idea del clima che il governo si ritroverà a settembre, basta leggere questa risposta: «Le scuole da settembre saranno un problema per il Governo Renzi – garantiscono gli studenti della Rete della Conoscenza e l’UdS – Boicotteremo i dispositivi di valutazione, creeremo nuovi organi di partecipazione per bloccare l’applicazione della riforma».

Sul versante politico i parlamentari 5 Stelle si sono detti «addolorati» per la firma di Mattarella su un provvedimento «con diversi profili di incostituzionalità che smantella la scuola pubblica italiana e prende il peggio del mondo aziendalistico». Sono scattate le procedure per avviare le assunzioni che porteranno in cattedra nei prossimi due anni poco più di 100mila docenti e 60mila con il prossimo concorso a cattedra che sarà varato entro il 2015.

Tra i punti più contestati della riforma c’è la «chiamata diretta» dei docenti da parte dei «presidi-manager». Avverà dagli «ambiti territoriali» dove confluiranno i docenti soprannumerari e quelli in mobilita a partire non da quest’anno, ma dal prossimo, il 2016/17. Questo significa che gli assunti da settembre, attraverso varie fasi fino a novembre 2015, non rientreranno nella riforma voluta da Renzi. Saranno gli assunti dal 2016/17 a rientrare in questo meccanismo. Entro giugno del 2016, gli uffici scolastici regionali definiranno il perimetro degli «albi territoriali» a livello «sub-provinciale». In seguito, i presidi-manager sceglieranno i docenti in base alle migliaia di curricula e formuleranno le proposte di lavoro alla luce delle candidature.

In un’elaborazione della Flc-Cgil sono stati descritti i numerosi punti oscuri della legge. Secondo il sindacato viene lesa la libertà di insegnamento che sarà condizionata dalle scelte dei dirigenti; si creerà una disparità incostituzionale di trattamento tra docenti reputati «bravi» e meritevoli di un aumento di stipendio; sulla base dello stesso meccanismo di valutazione arbitraria le scuole saranno classificate in «buone» e non «buone»; lesa, infine, la capacità negoziale dei sindacati e l’imparzialità della pubblica amministrazione.
In queste ore il movimento della scuola non sembra risentire del down politico e psicologico che travolse quello universitario dopo la firma della legge Gelmini nel 2010 da parte di Napolitano. Si mostra anzi più battagliero che mai. Gli insegnanti che per otto giorni hanno fatto uno sciopero della fame e organizzato un presidio permanente in via XXIV maggio a Roma lo hanno interrotto in attesa di riprendere la contestazione all’inizio dell’anno scolastico.

Domenica scorsa, sempre a Roma, si è svolta un’assemblea nazionale tra i soggetti organizzati del movimento. È emersa questa agenda per settembre: assemblea delle Rsu l’11 settembre a Roma; il primo giorno di scuola in tutte le regioni ci saranno due ore di assemblea sindacale e alle ore 13 una manifestazione provinciale; le Rsu e i sindacati saranno sollecitati a indire il blocco delle attività aggiuntive dei docenti e del personale Ata. Il 23 settembre sarà organizzata la «notte bianca per la scuola pubblica» in tutte le città. A tutti i sindacati, in maniera unitaria, è stato chiesto di indire una o più manifestazioni locali in attesa di un nuovo sciopero generale della scuola. In generale si è fatto appello alla «disobbedienza civile dentro le scuole» e a rifiutare di eleggere i membri del comitato di valutazione che dovranno affiancare i presidi manager nella loro impresa di trasformare le scuole in aziende.

Il sei settembre a Bologna ci sarà un incontro nazionale per valutare l’opportunità di un «referendum abrogativo» della «Buona scuola». Rispetto a iniziative analoghe, annunciate o praticate, da Landini o da Civati, il movimento è al momento molto freddo. Difficile raccogliere firme a scuole chiuse. Sivuole mantenere un profilo autonomo e, allo stesso tempo, trasformare il referendum in una «battaglia generale, culturale e di civiltà».