Sergio Mattarella non è contrario alla riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi. All’opposto, ha più volte fatto capire di vedere soprattutto i pregi della revisione del bicameralismo firmata dal presidente del Consiglio con la ministra Boschi. Come ripete spesso, il presidente è molto attento a non uscire dai limiti del suo ruolo e dunque evita di avvicinarsi troppo alle posizioni del Sì al referendum; così ha fatto anche ieri aprendo il Meeting di Comunione e liberazione a Rimini. Soprattutto, il capo dello stato non apprezza la virulenza dello scontro politico, questo clima da ultima spiaggia per l’Italia. Alimentato in ultimo dalla stampa anglosassone ma incoraggiato, almeno fino a qualche giorno fa, dallo stesso capo del governo. Ora Renzi qualcosa ha corretto – per sua convenienza – ma ancora non basta. E così nelle parole del presidente della Repubblica convivono l’invito alle riforme con l’appello alla cura delle ragioni di tutti.

«La Repubblica è nata da un referendum, dunque da un confronto democratico. La divisione degli orientamenti, però, è stata tradotta in una straordinaria forza unitaria». Richiamando il referendum istituzionale del 1946 (mentre in una mostra a Rimini si celebra il 70 anniversario) il capo dello stato enfatizza l’importanza del prossimo appuntamento, lo eleva quasi a momento ri-fondativo della Repubblica (e in effetti la portata della revisione costituzionale lo giustificherebbe). Può far piacere a Renzi, ma certo la narrazione del presidente del Consiglio poco o nulla si concilia con i «meriti» che Mattarella richiama nei padri costituenti: «Hanno saputo comprendere ciò che li univa, al di là dei legittimi contrasti». Le uscite del premier del tipo «al referendum ci divertiamo», e lo stesso continuo dipingere i sostenitori del No come nostalgici e conservatori certo non vanno in quella direzione.

Così gli avversari della riforma certo apprezzeranno l’insistere del capo dello stato sull’esigenza di «unità», di «coesione», la citazione di Moro che parlava della Costituzione come «casa comune». Ma non possono dimenticare che dal Quirinale aspettano anche segnali più concreti, come un intervento sull’informazione, dal momento che lo squilibrio in favore del Sì sulle reti private e soprattutto pubbliche non fa che aumentare. Oppure sulla questione della data del referendum, visto che sono ormai due settimane che il governo avrebbe potuto fissare formalmente il giorno delle urne, ma Renzi aspetta per avere a disposizione più tempo per risalire nei sondaggi. Al capo dello stato compete la firma sul decreto di indizione del referendum, dunque il Quirinale ha a disposizione qualcosa in più della moral suasion nella direzione di una gestione più corretta del dossier.

D’altra parte, Mattarella non ha dubbi che «le democrazie hanno sempre bisogno di essere aperte allo spirito del tempo, di inverarsi nelle condizioni della storia» e dunque in definitiva «di aggiornarsi per rappresentare sempre meglio le istanze popolari». La prova del suo sostegno – implicito, ma chiarissimo – alla riforma costituzionale sta anche nel ripetuto ed esclusivo richiamo ai principi fondamentali della Carta e tra questi alla forma Repubblicana, gli uni e gli altri ovviamente esclusi dalla revisione firmata Renzi-Boschi.
Nella stessa giornata, il dibattito sulle riforme costituzionali si è alimentato di un’apertura del ministro della giustizia Orlando alle ragioni della minoranza Pd. Per Orlando, intervistato dal Mattino, «sarebbe ragionevole una norma che eviti il doppio turno». Passaggio importante, perché la revisione dell’Italicum è la principale richiesta degli oppositori interni di Renzi per appoggiare il Sì al referendum. Orlando – adesso – è favorevole a cambiare la legge elettorale, e spiega che «un premio di maggioranza proporzionale al risultato potrebbe evitare le coalizioni forzate».
Eppure è stato un altro il passaggio del capo dello stato che più ha fatto parlare ieri la politica. «Non ci difenderemo alzando muri verso l’esterno», «dobbiamo aprire la strada al futuro, non illuderci di poterci riparare in improbabili trincee», ha detto Mattarella parlando dell’immigrazione. Come al solito e più del solito la replica del leghista Salvini è stata pessima: «Complice degli scafisti e degli schiavisti». Inevitabili le polemiche e le critiche di tutti gli altri partiti. E persino la presa di distanza di Maroni.