A porte chiuse, nel primo giorno di queste consultazioni-lampo, Sergio Mattarella ha messo le carte sul tavolo, con una drasticità inusuale per un uomo così prudente. «Ci sono due strade sole, senza subordinate di sorta: o Pd e M5S mi dicono chiaramente che sono intenzionati a provare con massima serietà a cercare di dar vita a un governo di ampio respiro oppure si sciolgono le camere e si va al voto». Stavolta il capo dello Stato non accetterà giochini tattici e non permetterà le ambiguità abituali, il dire una cosa al presidente solo per smentirla di fronte alle telecamere. La decisione, ha chiarito Mattarella, verrà presa considerando quel che i due partiti diranno «in questo studio e fuori».

DIRE CHE LA CRISI si risolverà in un senso o nell’altro oggi sarebbe esagerato, ma di certo oggi sarà il punto di snodo, il momento della verità nel quale si capirà se dietro l’angolo ci sono le elezioni in autunno o una nuova maggioranza e un nuovo governo politico, che non potrà proseguire nel solco di quello procedente ma dovrà invertire la rotta su alcuni punti chiave. «Dovrà essere un governo del disfare oltre che del fare», chiarisce Emma Bonino dopo la consultazione del gruppo misto del Senato, la cui delegazione è stata ricevuta ieri dopo i presidenti delle Camere e dopo il gruppo delle Autonomie al Senato, subito prima del misto della Camera.

LOREDANA DE PETRIS di Leu, presidente del misto di palazzo Madama, dice apertamente che la maggioranza dei 15 senatori del gruppo è favorevole a verificare la possibilità del nuovo governo, ma martella sulla necessità di un governo di svolta, e conferma di aver segnalato al presidente, che ovviamente non si è espresso in materia, la necessità di cancellare i dl sicurezza. La senatrice di Leu e quella di + Europa hanno inoltre sottolineato che votare senza modificare la legge elettorale costituirebbe un vulnus alla democrazia: solo 5 partiti entrerebbero in parlamento.

I senatori del misto e delle Autonomie, come i deputati di Leu e del misto sono dunque favorevoli a tentare la carta di una nuova maggioranza. In concreto significherebbe disporre al Senato, la camera da decenni più pericolante, di un’ampia maggioranza. Sarebbero 179 voti nella peggiore delle ipotesi: 107 dell’M5S, 52 del Pd, almeno 12 su 15 del misto, 7 o 8 delle Autonomie. Sono i numeri squadernati di fronte al capo dello Stato. Ma il pallottoliere non è tutto. Il nodo da sciogliere è politico. Spetta a Pd e 5S scioglierlo o rinunciare una volta per tutte entro oggi.

I PROBLEMI PIÙ GROSSI vengono proprio dai 5S. La richiesta irrinunciabile di discontinuità posta da Zingaretti significa dover fare a meno nel prossimo esecutivo della presenza di Conte o Di Maio. Sono entrambi bocconi amarissimi. Molti pentastellati inoltre diffidano di Renzi, temono che il senatore di Rignano possa accordarsi tra pochi mesi con Salvini e far saltare il governo. Ma la resistenza principale è proprio quella di Luigi Di Maio, che teme di finire sbalzato di sella anche all’interno del Movimento.

Come i 5S risolveranno il dilemma lo sapremo solo oggi pomeriggio e da quel momento la crisi imboccherà una strada precisa. Se si mostreranno troppo esitanti o troppo incerti la marcia verso le elezioni diventerà una corsa, anche se a gestire la campagna elettorale sarà comunque un governo diverso da questo. Se invece Mattarella si convincerà che vale la pena di tentare, darà pochi giorni di tempo ai partiti per portargli il nome del presidente incaricato, che sarà al 90% anche il capo del futuro governo. Poi la trattativa sul programma e sulla composizione dell’esecutivo dovrà chiudersi nell’arco di una settimana o poco più. Anche su questo il presidente è tassativo: non si può perdere tempo. Il Paese ha bisogno di un governo stabile e coeso il prima possibile, altrimenti i rischi di destabilizzazione, anche sul piano economico- finanziario, diventerebbero troppo alti.

LA SCELTA DEL PREMIER sarà l’ultimo scoglio. Il presidente della Camera Fico, che ci spera, sembrerebbe il nome più ovvio per guidare una compagine orientata a sinistra. Ma lo schiaffo affibbiato a Di Maio sarebbe davvero violento: una decisione del genere possono assumerla solo i padri-padroni dell’M5S, Grillo e Casaleggio. Più probabile dunque la scelta di un premier tecnico per un governo politico. I nomi che circolano sono parecchi ma in pole position c’è in realtà un solo papabile: l’economista ex ministro del Lavoro nel governo Letta Enrico Giovannini.