Chiedono di votare due volte al giorno, per fare presto. Poi nel voto si astengono o votano scheda bianca. Ma una logica c’è. La pioggia di votazioni avvicina la soluzione. Soprattutto quando a sera, concluso l’ultimo spoglio, diventa una pioggia di voti per Sergio Mattarella.

Il candidato non candidato. Riluttante, persino, con quegli scatoloni lasciati a metà. Quella di Mattarella è una progressione inarrestabile nell’urna, dai 16 voti del primo giorno ai 336 di ieri alla sesta votazione, con metà elettori in campo. Solo alla quinta votazione il presidente della Repubblica in carica è sceso, ma questo perché ieri mattina i grandi elettori di centrosinistra sono stati tenuti lontani dall’aula. Per evitare che i 5 Stelle cadessero nella tentazione di votare Casellati. E anche per frenare l’onda pro Mattarella, che già giovedì sera si era manifestata malgrado il Pd avesse piazzato i delegati d’aula per controllare che i grandi elettori non si fermassero troppo tempo nel seggio e lasciassero così la scheda bianca. Ieri sera invece, dopo un lungo surplace nel quale gli avversari hanno atteso le mosse degli altri per adattarsi, alla (seconda) astensione del centrodestra il centrosinistra ha risposto con la scheda bianca. In teoria. In pratica anche i grandi elettori del Pd sono stati lasciati liberi di regolarsi con quella «libertà di coscienza» che in maniera un po’ surreale era stata concessa ai 5 Stelle il giorno prima. Risultato: le schede bianche sono quasi scomparse, appena 106, e in 336 hanno scritto Mattarella. A questi andrebbero aggiunti una trentina di voti del centrodestra venuti fuori nella precedente votazione, quella del mattino. Quando a votare era stato solo il centrodestra e il risultato era stato l’omicidio politico della seconda carica dello stato. Più suicidio, in realtà, che omicidio, visto che i protagonisti sono stati Matteo Salvini, al suo ennesimo svarione, e la stessa candidata, che si è voluta imporre.

Maria Elisabetta Alberti Casellati, la presidente del senato ha doppi sia il nome che il cognome e le combinazioni per rendere riconoscibile il voto potrebbero essere moltissime. Prima della chiama, i delegati d’aula del centrodestra fanno girare su whatsapp un “promemoria”: «Fd’I vota Elisabetta Alberti Casellati, Fi vota Elisabetta Casellati, Lega vota Casellati, Coraggio Italia vota Alberto Casellati». Il presidente della camera Roberto Fico come aveva annunciato, proprio per evitare il controllo, legge solo il cognome e un solo cognome: Casellati. Ma c’è chi può controllare lo stesso. Innanzitutto lei, Casellati Alberti Elisabetta Maria, che sfidando prudenza ed eleganza siede tranquillamente in presidenza e si vede sfilare le schede una a una sotto il naso. Indossa lo stesso vestito che aveva il giorno in cui fu eletta presidente del senato. Alla sua destra ci sono i segretari d’aula del centrodestra, i deputati Comaroli, Colucci e Liuni, gli ultimi due con taccuino e penna prendono nota delle schede. Ragione per cui quando termina lo spoglio e Casellati si ferma a 382 voti, quasi un centinaio meno di quelli sui quali avrebbe dovuto teoricamente contare (e, per la storia, meno dei 395 che misero in croce Prodi nel 2013), può immediatamente partire il pomeriggio dei lunghi coltelli. Giorgia Meloni, senza farsi scrupolo di rivelare così il controllo abusivo dei voti, immediatamente dichiara: «Fratelli d’Italia si conferma come partito granitico e leale. Anche la Lega tiene. Non così per altri».

Gli altri sono naturalmente Forza Italia, dove la popolarità della presidente del senato è ai minimi da tempo e da quella parte sono arrivati voti per Tajani e per Berlusconi al posto di quelli per lei (e anche un voto di puro scherno per il suo capo di gabinetto, l’ex senatore forzista Nitto Palma), e Coraggio Italia di Toti che ha disertato in massa la convocazione. Da giorni tutti hanno assistito alle manovre spericolate di Casellati per ottenere la nomination, le litigate al telefono (pare anche con Berlusconi che è in ospedale, ma che da lì ha poi concesso un comunicato in suo favore) e persino la promessa, proprio ieri mattina nell’ufficio di presidenza, di offrire in regalo a un gruppo di senatori ex grillini la deroga al regolamento per costituire un gruppo.

Sulle macerie, mentre Letta prova a guardare negli occhi e nella stessa stanza Salvini e Conte che un attimo dopo lo tradiranno ancora annunciando la loro scelta che è di nuovo quella per la direttrice dei servizi segreti Elisabetta Belloni, resta l’indicazione fortissima per Mattarella. Che si scontra ancora con la volontà del presidente di non ripetere il bis (dopo quello di Napolitano), vincibile solo con un appello di tutti i partiti di maggioranza. Quindi anche di Salvini e Berlusconi. A meno di non fare come suggerisce un vecchio democristiano uscendo dall’aula: «Noi lo eleggiamo, poi lui non potrà dire di no».