Nel decennale della morte di Francesco Cossiga, Sergio Mattarella lo ha ricordato ieri in una cerimonia all’Università di Sassari, con un discorso teso a riabilitare una figura chiave ma certamente controversa della storia repubblicana. «Fronteggiò l’attacco terrorista alla Repubblica e difese le istituzioni con il consenso del Parlamento, nel rispetto dello Stato di diritto», ha detto Mattarella. «Il ricorso a norme e strumenti nuovi restò sempre iscritto nel solco della difesa dei valori e dell’ordine costituzionale».

Due i momenti chiave ricordati dal Capo dello Stato che, a distanza di decenni, fanno ancora discutere: il periodo da ministro dell’Interno quando, nel 1980, in pieno terrorismo, varò una serie di leggi speciali. Poi, quando dal Quirinale iniziò l’opera di picconatore con un crescendo di esternazioni (anche contro la magistratura e il Csm e in difesa dell’organizzazione Gladio) che terremotarono il mondo politico e spinsero il Pds, Rifondazione e altre forze di opposizione a chiedere la messa in stato di accusa del presidente (richiesta poi respinta dalla procura di Roma e, nel 1994, dal Tribunale dei ministri).

Mattarella, ricordando il suo predecessore così lontano da lui nel modo di interpretare la presidenza, non è entrato nel merito delle leggi speciali, e invece ha ridimensionato le esternazioni di Cossiga a «rilievi vivaci» per un fine serissimo: «Avvertiva l’esigenza di riforme costituzionali in Italia e si riassume in questo la ricerca e la evoluzione dei rilievi che, dapprima in modo assolutamente misurato e, via via, in modo più vivace, rivolse sulla questione che animava anche il dibattito tra i partiti». «Non gradiva il ruolo di presidente notaio ma, ancor meno, aspirava a quello del presidente “imperatore”». Per lui «l’antifascismo era un fatto discriminante non solo dal punto di visto politico ma morale».

Il Capo dello Stato ha poi sottolineato come Cossiga sia «sempre rimasto fedele al principio di laicità dello Stato». Nel suo dichiararsi «cattolico liberale» c’era «un ossequio, un rispetto per la casa comune e per la sovranità delle istituzioni della Repubblica, che non concedeva spazio a tentazioni confessionali o integralismi di sorta». Infine, ha ricordato i mesi del sequestro e dell’assassinio di Aldo Moro: «Fu un colpo tremendo e uno spartiacque nella sua vita. Da ministro si adoperò per la liberazione di Moro, suo amico e punto di riferimento politico, ma gli sforzi non giunsero al risultato sperato e la sofferenza fu acuita da quel susseguirsi di lettere di cui ebbe a riconoscere tratti di autenticità»