In occasione del 77esimo anniversario della strage Sergio Mattarella ha visitato, per l’ultima volta da presidente della Repubblica, il mausoleo delle Fosse Ardeatine, ovvero lo stesso luogo dove aveva compiuto il suo primo atto ufficiale dopo l’elezione al Quirinale.

La definizione di uno spazio pubblico-valoriale riconosciuto rappresenta la base di ogni patto sociale che si proponga di tenere insieme una comunità nazionale e internazionale. Per questo la memoria storica collettiva e il nesso con il presente permangono come dispositivi vitali allo sviluppo della società pur in un’epoca di sistemica frammentazione sociale.

La storia della strage delle Fosse Ardeatine compiuta a Roma il 24 marzo 1944 dall’esercito nazista ha, per queste ragioni, la forza di esprimere istanze e sollecitazioni al nostro tempo. Da un lato perché esplicita le radici della democrazia costituzionale e repubblicana nata dalla Resistenza e sgombera il discorso pubblico da ambiguità dialettiche proprie del populismo storico. Dall’altro perché indica la natura torsiva delle «politiche della storia» che in Italia e in Europa, soprattutto in Polonia e Ungheria, promuovono «per legge» una forma di regolazione e controllo selettivo della memoria pubblica finalizzata al governo del presente.

La Risoluzione del parlamento europeo del 19 settembre 2019 che, di fatto, equiparò storicamente nazismo e comunismo ha rappresentato l’espressione più visibile del populismo storico largamente diffuso su scala globale.

Ecco, dunque, che la storia delle Fosse Ardeatine ristabilisce con la forza della ragione e della verità dei fatti la separazione irriducibile del campo antifascista (di cui il comunismo fu parte centrale e maggioritaria) da quello nazista, ricollocando gli avvenimenti del nostro passato all’interno di un orizzonte di senso che spiega da dove veniamo. Come noto, il 23 marzo 1944 i Gruppi d’Azione Patriottica (GAP) del Partito Comunista attaccarono una colonna di militari tedeschi della XI compagnia –III battaglione- dell’SS Polizei Regiment Bozen in transito in via Rasella.

L’attacco partigiano fu la più importante azione di guerra realizzata dalla Resistenza europea in una capitale occupata dalla Wermacht e fu motivo di encomio da parte dei comandi Alleati. Alla legittima azione di guerra contro un esercito occupante i nazisti, coadiuvati dai fascisti italiani, risposero con un crimine di guerra compiuto nella più assoluta segretezza uccidendo 335 persone (ebrei, partigiani comunisti, azioni, socialisti e monarchici) raccolte per le strade della città, nel braccio dei detenuti politici del carcere di Regina Coeli e nelle prigioni tedesche come quella di via Tasso.

Roma conobbe la «guerra ai civili» di matrice nazifascista, sostanziata dalle deportazioni di duemila carabinieri (7 ottobre 1943); di 1024 ebrei romani; dai rastrellamenti dei quartieri del Quadraro e di Centocelle; dalle fucilazioni di Forte Bravetta; dalle camere di tortura di via Tasso e delle pensioni «Oltremare» e «Jaccarino»; dalle stragi di Pietralata e La Storta.

All’interno di questa dimensione della «guerra totale» nella capitale d’Italia, ed in tutta Europa, emerse il movimento internazionale della Resistenza che nella forma della guerriglia partigiana, sostenuta e protetta dalla popolazione civile, si pose da un lato come contestazione di legittimità del monopolio della forza e dell’ordine pubblico terroristico tedesco e dall’altro come un nascente potere costituente che dal «fatto d’armi» fece emergere la radice di un ordine nuovo e di un’alterità incompatibile con la società categoriale del nazifascismo.

Nel 2015 il primo atto del nuovo presidente della Repubblica fu l’omaggio al mausoleo delle Fosse Ardeatine. Nel 2018 lo stesso Mattarella conferì alla città di Roma, su iniziativa dell’Anpi, la medaglia d’oro al valore militare per la Guerra di Liberazione. È in questo spazio ideale che si collocano le due parti unite della nostra vicenda contemporanea.

Le centinaia di azioni di guerra compiute dalle forze partigiane di Roma durante i 271 giorni di occupazione rappresentano la prima metà di un precipitato che la storia della città riversa dentro il nostro presente. L’altra metà del patrimonio si incarna nella memoria delle stragi come quella delle Ardeatine che radicano nella coscienza collettiva il segno della durezza e dei sacrifici che le conquiste di libertà, uguaglianza, parità di genere e giustizia sociale portano.