Pochi chilometri di filo spinato separano l’Africa dall’Europa, la disperazione dalla speranza. Ceuta, l’enclave spagnola in territorio marocchino, si estende su un fazzoletto di terra di meno di 20 chilometri quadrati. Con poco più di 80mila abitanti, la città si affaccia sullo stretto di Gibilterra da sud. Una posizione strategica, che ha fatto litigare Portogallo, Spagna e regni arabi del Nordafrica per secoli. Oggi Ceuta è una delle 17 regioni autonome della Spagna. Ed è una delle frontiere fra il nord e il sud del mondo che, con la differenza abissale fra i redditi pro capite dei due lati, meglio raccontano l’ingiustizia di un mondo dove le merci sono più libere delle persone.

Nelle prime ore di giovedì è successo di nuovo. Poche centinaia di persone sono scese dai monti che circondano la città spagnola dal lato marocchino, dove sopravvivono in attesa del momento propizio, e hanno tentato di attraversare la barriera fra «il sogno e il niente», come ha riassunto efficacemente ieri mattina la giornalista Pepa Bueno nel programma radiofonico più ascoltato della mattina, Hoy por hoy. La sorprendente verità è che quelli che la stampa non esita a definire «attacchi alle frontiere» in realtà avvengono molto più raramente di quanto non si possa immaginare. L’ultimo «attacco» importante risale a settembre.

Ma ogni volta che succede, la banalità del male prende il sopravvento. Stavolta, secondo le ricostruzioni dei fatti, dopo aver tentato prima l’assalto ai passi di frontiera, poi il salto del filo spinato, un gruppo di migranti si è gettato in acqua, tentando di superare, aggirandolo, il muraglione che divide la spiaggia in due e si sporge di qualche decina di metri nel Mediterraneo. Dall’altra parte c’è la speranza, la destinazione di un viaggio che per molti è durato mesi, tra stenti, fame e botte. Soprattutto botte. Di tutte le polizie incontrate lungo il cammino. L’ultima che hanno incontrato è stata la Guardia Civil spagnola, che, secondo le testimonianze raccolte da eldiario.es, non ha esitato a sparare pallottole di gomma (e forse anche di piombo) e lacrimogeni su un mucchio di persone disarmate, in difficoltà in acqua – molti di loro non sanno nuotare, lo sappiamo tutti ormai – mentre cercavano a nuoto di raggiungere l’altro lato del muraglione. Almeno tredici persone sono morte, molte dopo che le pallottole hanno forato i pneumatici che li aiutavano a galleggiare, secondo le testimonianze raccolte dal giornale conservatore El Mundo. Una parte è riuscita ad arrivare in spiaggia, dove è stata prontamente respinta dalla Guardia Civil che li ha riportati direttamente in Marocco in maniera del tutto illegale (come testimonia un video mostrato dalla televisione La Sexta). Gli altri sono tornati indietro, accolti ancora una volta dalle botte della polizia marocchina, che lavora alacremente per aiutare i vicini europei a fare il lavoro sporco.

Nella prima versione fornita dal ministero degli interni, gli spagnoli non c’entravano niente. Tutto era successo dall’altra parte, e al massimo era tutta colpa della polizia marocchina. Poi in serata, giovedì, ha ammesso che c’era stata una «reazione proporzionata» a degli attacchi «inusualmente violenti» dei migranti anche utilizzando «materiale dissuasorio» ma mai, per carità, «direttamente» contro di loro. Nel «pieno rispetto della legge». Più tardi, davanti all’evidenza e alla denuncia di molte vittime, il ministro Fernández Diáz ha sfumato le sue dichiarazioni dicendo che la legge viene sì rispettata, «tranne in casi puntuali». Insomma, una bella figuraccia. Che ha spinto i socialisti e Amaiur, il partito basco di sinistra ostracizzato dall’establishment perché vicino all’ambiente politico dell’Eta, e poi altri partiti, a chiedere al ministro di presentarsi urgentemente al parlamento, e Izquierda Unida a chiederne le dimissioni immediate. Fernández Diáz ha fatto sapere ieri pomeriggio che «la settimana prossima» si presenterà ai deputati «di propria iniziativa» per spiegare l’accaduto. Intanto il governo, per bocca della vicepresidente e portavoce Soraya Saéz de Santamaria, afferma di essere «dispiaciuto» per le morti «e per la tragedia che le causa».

Le morti sono però solo un tassello della guerra che il governo popolare sta combattendo contro gli ultimi della società. Mentre il Consiglio d’Europa avvertiva la settimana scorsa la Spagna che il decreto del 2012 che preclude ai migranti l’accesso alla sanità pubblica togliendo loro la tessera sanitaria è una violazione dei diritti sociali europei, sono sempre di più le decisioni giudiziarie relative a centri di internamento per stranieri (Cie). In quello della Zona Franca di Barcellona i giudici indagano sulle manganellate ricevute a capodanno da molti dei prigionieri, e il combattivo difensore del popolo catalano (Síndic de Greuges) definisce i Cie «illegali» e «inammissibili», mentre un giudice riapre il caso di una congolese morta in quello di Madrid nel 2011. A ottobre aveva suscitato indignazione la decisione del governo di rafforzare la fortificazione della frontiera africana con lame più affilate, una decisione che, nonostante le promesse del ministro degli interni, non è mai stata emendata.
Intanto ieri notte altri 1400 migranti hanno di nuovo tentato l’assalto. Stavolta, almeno, senza vittime.