Non superare le dosi consigliate, edito da Guanda (pp. 272, euro 18), è il libro d’esordio di Costanza Rizzacasa d’Orsogna, giornalista del «Corriere della Sera». È un romanzo autobiografico, anche se la protagonista, voce narrante, si chiama Matilde: «mi chiamo Matilde, come Matilde Serao, prima donna in Italia ad aver fondato e diretto un quotidiano, più volte candidata al premio Nobel, indipendente, femminista. Mi chiamo Matilde, come Matilde Serao, e sono destinata a grandi cose». Matilde è affetta da disturbi alimentari, nella fase della sua vita contemporanea alla scrittura, quella adulta, soffre di «binge eating disorder, l’alimentazione incontrollata». Quando, per vari anni della sua gioventù è arrivata a sfiorare la taglia 38, si trattava probabilmente di anoressia.

CIÒ CHE RISULTA interessante e inevitabile allo stesso tempo è che la storia dei disturbi alimentari diventa il racconto di una vita familiare: di una madre terrorizzata all’idea che sua figlia sia grassa, una donna dura, ingiusta si potrebbe facilmente dire, con la bambina paffuta che era Matilde. Una madre anoressica a sua volta, o meglio, affetta da «purging disorder, cioè il continuo purgarsi attraverso lassativi, diuretici e vomito autoindotto per controllare il peso», che riesce a testimoniare stima a sua figlia solo quando è lontana, studentessa di successo alla Columbia University di New York.
Nel romanzo ci sono due istanze diverse: la prima è quella del memoir, delle dinamiche familiari, i ricordi delle esperienze sessuali che si sono succedute mantenendo tutte il tratto del fallimento. Ci troviamo di fronte, in questo modo, a una centralità dell’io narrante inevitabile: ciò che è accaduto è successo a Matilde ed è Matilde stessa a raccontarlo, ma il suo sé è in sofferenza e come lei stessa ammette in vari punti del testo non ha compiuto un processo di maturazione. Per questo, ricorrono domande ossessive che ritornano come una nenia insieme alle ripetizioni, che sembrano svolgere la funzione impossibile di combattere l’insicurezza costitutiva della protagonista.

QUESTO «PARTIRE DA SÉ», d’altra parte, dà forza all’altro aspetto del testo, quello della denuncia: Matilde, o Costanza, è molto lucida ed efficace rispetto alla condizione di grave discriminazione cui sono soggette le persone grasse: «dopo i migranti, i neri e gli omosessuali, gli obesi sono la categoria più deprecata. Più degli altri, perfino, perché se neri, omosessuali e migranti rischiano la vita, non possono farci nulla di essere come sono, mentre gli obesi hanno la colpa di stramangiare e non tenersi in forma». Leggiamo di come la narrazione stessa dell’obesità sia castrante e castrata: si limita alla parabola che vede nel dimagrimento l’arrivo della felicità. Nelle serie televisive ai personaggi obesi è sempre associata una forma di errore, una specie di sbaglio interiore che li induce a frequentare brutte compagnie o a essere meschini. La denuncia di un’ingiustizia così evidente e di cui tutti sono a conoscenza, fin da quando all’asilo si assiste o si subiscono insulti sul peso, acquista forza perché arriva nel romanzo dopo la narrazione di Matilde di una sofferenza della sua carne.