Fumata bianca, in Consulta, sulla questione di illegittimità costituzionale sollevata dai tribunali di Milano, Catania e Firenze riguardo l’articolo della legge 40 che vieta la fecondazione eterologa. Dopo l’udienza pubblica di ieri mattina che si è aperta con l’intervento del relatore Giuseppe Tesauro, l’Alta corte si è riunita in camera di consiglio ma, a sera, ha deciso di rinviare ad oggi la sentenza. Il motivo, secondo alcune fonti interne, sta nella mancata unanimità della Corte. Almeno due giudici, infatti, sarebbero incerti un terzo – su 15 – avrebbe dato parere nettamente contrario. Molto probabilmente perciò oggi si ricorrerà al voto per emettere la sentenza.

Durante l’udienza di ieri l’avvocato di Stato Gabriella Palmieri ha sostenuto il «rischio di un vuoto regolamentare» in caso di abolizione del divieto. «È falso, non si crea alcun vuoto normativo», hanno smentito gli avvocati Filomena Gallo e Gianni Baldini, legali della coppia che si è rivolta al tribunale di Firenze. «Già nel 2005 era stato ammesso il quesito referendario che prevedeva la cancellazione di tale divieto – spiega Gallo, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, l’avvocata che di fatto ha seguito passo passo lo smantellamento della legge 40/2004 nelle aule di tribunale – Un divieto che non ha fondamento né scientifico né giuridico, ma solo morale». Tanto che, come ha riportato durante l’udienza pubblica l’avvocata di parte Maria Paola Costantini, «l’Osservatorio sul turismo procreativo nel 2012 ha calcolato in 4.000 le coppie che si rivolgono a centri esteri», con «più di 2.500 bambini nati ogni anno. Questi nati tuttavia escono dalle statistiche ufficiali: sussiste un occultamento di queste persone e dei loro figli che non sono monitorati dalle nostre istituzioni e sono costretti a nascondere la propria condizione e le modalità di nascita dei loro bambini».

Intanto ieri un’altra parte della legge 40, quella che vieta la maternità surrogata, ha subito una bocciatura dal tribunale di Milano. Infatti, una coppia che ha concepito un figlio grazie all’utero “in affitto” di una donna indiana, di Mumbai (in India è legale), e con la donazione di gameti femminili, è stata assolta dall’accusa di «alterazione di stato» anche se è stata condannata per le dichiarazioni mendaci rilasciate alle autorità italiane. Non è la prima sentenza di questo tipo ma si tratta – va ricordato – di processi scaturiti dall’obbligo che hanno le ambasciate, imposto qualche anno fa dal ministero degli Esteri, di comunicare alla procura della Repubblica i nomi delle coppie che ricorrono alla maternità surrogata nei Paesi dove è legale.