C’è chi i decibel li misura in dB, e chi invece li misura in km: quelli percorsi per inseguire le proprie star musicali in giro per teatri, arene e palasport. Per referenze, citofonare Massimo Giacon. Storyteller «indie» con una fedina penale che comprende, tra l’altro, «Frigidaire», «Linus» o «XL – Repubblica». Ma anche illustratore puro per «Elle» e «Glamour». E ironico nipotino di Ettore Sottsass con esperienza nel design d’interni per Alessi. E complice di autori blasonati come Tiziano Scarpa o Daniele Luttazzi. E docente presso lo IED di Milano. E rocker di lungo corso con I nipoti del faraone, Spirocheta Pergoli e Unit 03. Uno così può permettersi di tutto: anche di fare il critico musicale. E dato che ad aprirgli le porte ha provveduto «Rumore», bibbia ultraventennale della musica alternativa italiana, il risultato sono decine di concerti live scelti, trovati per caso o subiti tra gli Anni ’70 e l’età del Lockdown. Che oggi trovano casa nella corposa, illuminante raccolta targata Masticando Km di Rumore (Feltrinelli Comics, € 18, 208 pagine). Recensioni scritte e disegnate, per una nuova tappa del viaggio attraverso i sensi iniziato da Giacon nel 2019 con «È subito serial», e che dopo la vista dà spazio all’orecchio di questo infaticabile cercatore di gemme pop. Rispetto ad altri cahier sullo stesso genere, il volume ha il pregio di coprire un lasso di tempo trentennale attraverso accostamenti insospettabili. Ci sono i King Crimson un po’ autocelebrativi del 2016, con i tre batteristi Harrison, Mastellotto e Stacey e il cantante e chitarrista Jakko Jakszyk, uno che «sembra il primo Robert Plant con qualche chilo in più», ma a sentirlo si dimostra un ottimo surrogato dello storico Greg Lake, bassista e vocalist di In The Court of The Crimson King.

C’È L’ULTIMA edizione di Sanremo, carrozzone costruito col cencelli per coprire a 360° tutto lo spettro dei gusti musicali affastellando rock, bel canto e trap, ennesima edizione «brutta forte come tutte le altre, specchio simbolico del paese che amo e odio». Ci sono i Devo del 1980, evocati anche nel ricordo del disco inesistente recensito da Stefano Tamburini su «Cannibale» a ricomprendere il singolo inesistente Suck Me Duchamp amp amp. C’è il primo concerto visto alle superiori, un live di Antonello Venditti che si conclude con una constatazione lapidaria: «Non è questa la musica che cerco». C’è soprattutto una prosa che frulla insieme la cultura musicale varia e sterminata dell’autore con il suo tipico humour caustico e i suoi «tranches de vie»: un mix che attraverso i cento racconti brevi che compongono il libro racconta un Giacon lontanissimo da ogni possibile stereotipo colto.

IL MASSIMO GIACON di queste pagine è un eroe «in divenire» senza neanche uno straccio di impianto stereo, condannato ad ascoltare la musica «solo a casa dei miei amici più ricchi che possiedono un giradischi e una piccola collezione di vinili, oppure alla radio», incastrato nelle tipiche «shitstorm» tra pubblico e palco dei concerti di fine Anni ’70, nutrito solo di polvere, sudore e semi di zucca salati e poi via via sempre più in consapevole, tra party indiavolati con Igort e Pazienza, bigiate d’autore con Frank Zappa che come chitarrista «Bello, eh, ma mai più», fulminanti istantanee di vita vissuta come la tipa che chiama «Cristinaaa» nelle pause tra un Purple Rain di Prince e l’altro e così via. A un certo punto, come niente, arriva pure il carico da undici stile Gatsby post-pop di Baz Luhrmann: «Sembra che tutto sia in viaggio alla velocità di un treno verso un luminoso futuro per tutti. Sbagliato». Che brutto, alle volte, avere ragione.