A 25 anni dalla prematura scomparsa durante le riprese del film «Il postino» a soli 41 anni, si continua – per fortuna – a parlare di Massimo Troisi, a ricordarlo e celebrarlo anche con saggi e libri che si vanno ad aggiungere a quelli periodicamente usciti sul grande e atipico attore napoletano. Anche se manca ancora uno studio e un’analisi fuori dagli schemi sulla sua comicità destabilizzante, sulla sua forza comunicativa spiazzante dal punto di vista del rapporto tra pensiero e linguaggio, della psicolinguistica, del linguaggio del pensiero, della filosofia del linguaggio. Intanto ora la neonata Phoenix Publishing, un gruppo di giovani operatori culturali già molto attivi nel campo del fumetto, che si sta ritagliando un segmento nell’ambito dell’editoria napoletana con la pubblicazione di saggi su certi aspetti del cinema napoletano poco esplorati, ha fatto uscire «Pensavo fosse un comico, invece era Troisi» di Ciro Borrelli che per rendere omaggio all’artista di San Giorgio a Cremano ha trovato un titolo geniale che parafrasa il suo «Pensavo fosse amore… invece era un calesse».

Borrelli napoletano che ha già pubblicato una raccolta di poesie e alcuni romanzi e per il cinema saggi dedicati a Peppino De Filippo e Totò, ha voluto soprattutto restituire a distanza di tanti anni le caratteristiche di Troisi che ne fanno uno degli attori/autori italiani più amati da varie generazioni il cui ricordo è sempre vivo: l’ironia, il linguaggio, quella singolare capacità di irridere ogni stereotipo. La monografia si apre con una breve biografia dell’attore, cui segue «Il pensiero di Massimo», che riporta sue affermazioni, ma anche dichiarazioni su di lui, rilasciate da artisti del mondo cinematografico e teatrale. Il secondo capitolo, intitolato «Confidenze», raccoglie interviste a personaggi che lo hanno conosciuto o con cui ha lavorato. Al cuore di Massimo e al problema di salute che lo ha condizionato per la vita, è dedicata la terza parte, seguita da quella relativa alla carriera professionale, all’impegno teatrale, dalle prime esibizioni all’oratorio parrocchiale alla partecipazione ad «Effetto smorfia», il programma televisivo di grande successo dove si esibiva insieme a Lello Arena e a Enzo Decaro. Nel quinto e ultimo capitolo si esaminano i film dell’artista, sia quelli girati e sceneggiati da lui che quelli in cui ne è soltanto interprete.

«Ci sono uomini che trascendono i luoghi dove sono nati e appartengono al mondo; – scrive Rosaria Troisi, la sorella di Massimo, nella prefazione – ci sono uomini che dal cantuccio della loro esperienza particolare riescono a toccare il cuore dell’esperienza universale: essi, insomma, non appartengono più a un paese, a una città, a una nazione, essi parlano, agiscono e si muovono per le strade dell’essere più che per le vie dell’esistere. Ogni gesto è un significato, ogni significato un testamento… la loro scelta li ha fatti cittadini del mondo: maschere classiche di sentimenti che non hanno né tempo né confini. Massimo Troisi era uno di questi uomini». E Borrelli nell’introduzione sottolinea: «Non c’è nulla di lui che non sia eccezionale e inimitabile: la sua ’maschera’, il sorriso, lo sguardo intelligente e malinconico, la sua mimica, l’espressione del volto. Un volto così mutevole, istrionico e, al tempo stesso, contraddistinto da un sentimento comico comune a tutti i personaggi da lui interpretati». A proposito di volti, se per Totò sono stati scomodati Picasso e la pittura metafisica, per Massimo non si può non pensare ad alcuni grandi pittori della Scuola Napoletana.

(Ciro Borrelli, Pensavo fosse un comico invece era Troisi, Phoenix Publishing, pp.114, euro 12,90)