Nel 1972, all’università di Louvain in Belgio, Jacques Lacan tenne una celebre lezione, interrotta da un giovane rivoluzionario che accusò gli astanti di preferire il chiuso dell’aula all’aperto dello spazio politico, e lo stesso Lacan di fornire una giustificazione reazionaria alle miserie quotidiane. Il cambiamento caldeggiato dai rivoluzionari, ribatté Lacan, altro non era se non un nuovo tipo di ordine; la domanda dello studente venne così elusa e disinnescata. L’episodio è ripreso da Massimo Recalcati a indicare un conflitto tra psicoanalisi e realtà mai risolto e oggi più cogente, riportato alla attualità in Critica della ragione psicoanalitica (Ponte alle Grazie, pp. 144, € 14,00), dove offre in Tre saggi su Elvio Fachinelli una lettura del pensiero dello psicoanalista trentino. Le sue categorie sono infatti, secondo Recalcati, in grado di rivitalizzare la disciplina, divenuta «un formulario ipostatizzato che spesso impedisce, anziché facilitare, la comprensione delle situazioni concrete». Cogliendo l’aspetto fenomenologico del linguaggio di Fachinelli, così lontano dall’oscura autoreferenzialità analitica, Recalcati intende aprire la psicoanalisi alla contingenza, ciò che è precluso a chi non fa che tornare al tempo ripetitivo della nevrosi, tutto orientato al passato.

Al centro della critica sta la tendenza a rinchiudere l’inconscio in categorie moralisticamente repressive. Questo ripiegamento claustrofilo e ossessivo è ricondotto non solo alla tradizione che discende da Freud ma allo stesso padre della psicoanalisi, che agli occhi di Fachinelli – e di Recalcati con lui – ha voluto tenere a bada l’anarchismo radicale della propria scoperta rivoluzionaria permettendo che prevalesse una rassicurante psicoanalisi «della risposta», che invece di accogliere l’incontenibile esuberanza dell’inconscio si è spesso chiusa in domande rigide e scontate. E le domande che contengono già una risposta sono – secondo Lacan – le domande del padrone.

La psicoanalisi è dunque una disciplina «poliziesca»? Almeno in parte: l’unilateralità dell’Edipo, la brutalità simbolica dell’interpretazione, l’uso accusatorio del concetto di difesa erano strumenti psicoanalitici già individuati come problematici, a rischio di farsi macchine di violenza morale. È significativo che Recalcati utilizzi come chiave di lettura di Fachinelli le categorie di alcuni autori che per lungo tempo hanno costituito un suo oggetto polemico (Derrida, nella sua critica a Freud, ma soprattutto Foucault e Deleuze). Alla analisi critica non sfugge nemmeno Lacan, che con le sue istanze di purezza impedirebbe di cogliere gli aspetti spuri della realtà, ciò che di più interessante essa ha da offrire.
Alla psicoanalisi «della risposta», Fachinelli ne contrappone una «della domanda», che accoglie la dismisura dell’inconscio e che legge e anima la teoria a partire dall’imprevedibilità evenemenziale delle esistenze reali: non una disciplina che si serve della vita, ma che serve la vita. Recalcati si aggancia allora nell’ultimo capitolo del libro, in cui diventa esplicito l’uso di Fachinelli per ridefinire una nuova politica della psicoanalisi, al problema della formazione dell’analista. Con una metafora romantica tratta dai testi di Fachinelli – e forse con una velata polemica verso l’esegeta «padrone» del testo lacaniano, Jacques Alain-Miller – Recalcati sostiene che «il Libro ha sostituito il mare», per indicare il soffocamento pregiudiziale di ogni rinnovamento teorico.