Caro Massimo Di Luzio, non avrei mai pensato di scriverti in questo modo. Non scrivo quindi per te ma per tua figlia Anna, che hai amato al di sopra di tutto, scrivo per raccontarle di quel ragazzo magro con gli occhi bellissimi, amante dei libri di storia e poesia e nemico giurato dei fascisti, che organizzava concerti e servizi d’ordine, e per il quale l’amicizia era sacra. E che come tanti della nostra generazione si è trovato a rinascere ogni volta da capo.

Mi ricordo che a Stromboli ha incontrato la tua mamma, la bionda Rachele, e lui continuava a chiedersi stupito: «Ma chissà perché una così carina ha scelto di fare un figlio con uno come me?», un poeta, un compagno, un vagabondo, che poi è diventato padre, e si è salvato, perché quando si ha una bambina bisogna saperla proteggere, e lui ti ha protetto.

Ci ha fatto ridere e si fatto prendere in giro, con la sua anima «patriarcale abruzzese e gelosa». È sempre stato fiero delle sue origini abruzzesi. Sapeva ridere, anche su questa assurda malattia che non hai mai fatto pesare a noi amici. Il garbo, la leggerezza, l’ironia con cui diceva: «Preferirei che mi trapiantassero un fegato femminile, sai mi piacciono le donne…».

Ero convinta che ce l’avrebbe fatta. Ci siamo visti l’ultima volta per fare un elenco di poeti italiani contemporanei che lui doveva proporre per un’antologia.

Ciao Massimo – ti saluta anche il tuo amico Vincino con il disegno che trovi qui sopra – ciao fratello appassionato. Ci mancherai moltissimo.

 

*Massimo Di Luzio, sodale di tante battaglie politiche e sociali a Roma e compagno della nostra Rachele Gonnelli, è deceduto ieri dopo un intervento in extremis. La sua forte fibra stavolta non ha retto. A Rachele, alla figlia Anna e a tutte le persone che lo hanno amato l’abbraccio del collettivo de il manifesto