Julia Decournau è passata rapidamente dall’anonimato alla celebrità quando, cinque anni fa, il suo primo film Grave è stato accolto con entusiasmo alla Semaine de la critique. In rete gira una storia secondo la quale alcuni spettatori, rivoltati dalle scene più crude, avrebbero vomitato in sala. Chi c’era giura di non ricordarsi nulla di tutto ciò, ma la leggenda rende giustizia al tipo di impressione che Julia Decournau è riuscita ad ottenere su un terreno, quello dell’horror, dove non sembrava che si potesse andare oltre il già visto. Cosa che basta a dare un certo credito a questa cineasta, anche da parte di chi non è particolarmente attratto da questo tipo di declinazione ultra aggressiva del genere. C’era quindi molta attesa per il suo secondo film – Titane – il cui titolo evoca al tempo stesso il metallo e i titani del mito, che catapulta la giovane cineasta sotto i riflettori della competizione ufficiale.
Ancora una volta, si tratta di un personaggio femminile. Quasi fosse supereroe, Decournau ne descrive la «seconda» nascita. Alexia è solo una bambina quando, in seguito a un brusco incidente, si ritrova con un pezzo di cranio sostituito da una placca di metalloche le lascia una vistosa cicatrice sulla nuca. Vent’anni dopo la troviamo ad esibirsi come cubista, danzando provocatoriamente sul cofano di una Cadillac. Cicatrici, potenti macchine americane, sesso : l’immaginario è chiaramente quello di Crash di David Cronenberg. Detournau prima lo evoca, poi lo inverte, quando trasforma la Cadillac in un maschio (Christine, lo si ricorderà, era una femmina). E poi lo abbandona per creare un suo proprio e personalissimo universo cyberpunk.

IL CINEMA di Decournau non è certo per tutti i gusti. Ma è innegabile che la sua sia una voce completamente nuova nel panorama del cinema di genere. E per genere si può intendere anche quello sessuale, che Decournau smonta e rimonta in permanenza sul corpo meccanizzato e al tempo stesso organico della propria eroina. Costruzione e decostruzione che non risparmia l’anima, alla quale la regista impone ogni sorta di modifica. Con il personaggio di Alexa prende ogni rischio immaginabile e diversi inimmaginabili.

E LA STESSA LIBERTÀ plastica la applica anche al corpo titanico di Vincent London (ottimo nel ruolo del padre pompiere che non accetta di invecchiare). La sua disinvoltura rispetto alle regole della sceneggiatura è totale, spogliata di ogni necessità di verosimiglianza logica e psicologica. In questo, il suo cinema è una boccata d’aria fresca dentro un panorama francese asfissiato da una scrittura pulita, ordinata e terribilmente prevedibile. Come in Grave, Decournau è affascinata dai corpi (in particolare degli uomini, e in particolare di maschioni virilmente scolpiti) che ballano. Le sequenze più belle sono senza dubbio quelle in cui la musica si impone sulla messa in scena.