Ascoltare Domenico Arcuri – da 13 anni a capo di Invitalia, il braccio operativo del ministero dello sviluppo che doveva risolvere le crisi aziendali e di crisi non ne ha risolta una – proferire queste parole: «Avrei tanta voglia di parlare dei liberisti che emettono sentenze quotidiane da un divano con un cocktail in mano», fa un certo effetto. Il riuscito artificio retorico è stato usato nell’ormai consueta conferenza stampa del commissario per l’Emergenza per polemizzare con chi «dice che il prezzo delle mascherine lo fa il mercato, sorseggiando i loro centrifugati». Un artificio che si conclude con la chiosa produttivista: «Ma non lo farò, il mio dovere è lavorare».

L’OGGETTO DEL CONTENDERE è il prezzo calmierato delle mascherine, fissato per quelle chirurgiche dallo stesso Arcuri in 50 centesimi. «Se proprio i cittadini devono pagare per proteggere la loro salute hanno il diritto di pagare il prezzo giusto. In 40 giorni abbiamo costruito una prima risposta con 108 imprese italiane che hanno ottenuto incentivi e sottoscritto 5 accordi con altrettante imprese che ci riforniranno di 660 milioni di mascherine, a 0,39 euro, 11 centesimi in meno del prezzo che abbiamo fissato. Il mercato italiano ancora non è pronto per fissare il prezzo giusto perché ancora domanda e offerta non possono allinearsi nel senso della equità e della relazione corretta».
OLTRE AI «LIBERISTI», che ormai considerano il governo Conte alla stregua di pericolosi sovversivi comunisti, il prezzo non è andato giù a parecchi farmacisti. «Un valore del tutto fuori dalla realtà», lo definisco i distributori farmaceutici Adf e Federfarma Servizi che ricordano come in Spagna il tetto fissato dal governo è stato di 96 centesimi a mascherina. Alcune farmacie hanno allora deciso di bloccare la vendita in attesa di una risposta dal governo. Non si ricorda però un blocco simile quando le stesse le vendevano anche a 5 euro l’una nei giorni del picco. Il governo s’è impegnato a cancellare l’Iva sulla vendita.
Arcuri ha poi annunciato che dal 4 maggio saranno distribuite 12 milioni di mascherine al giorno. Promessa impegnativa, visto che al momento la Protezione civile ne consegna 4 milioni al giorno. Ma tra aziende italiane e fornitori esteri, secondo fonti vicine al commissario, si conta di raggiungere l’obiettivo.
PER LA APP DI TRACCIAMENTO dei contatti sociali ci vuole ancora tempo. Immuni – la scelta dello stesso Arcuri – anche se dovesse arrivare per l’inizio di maggio, non sarà in ogni caso operativa con tutte le sue funzionalità. Arcuri ha ribadito che ci sarà la «piena e assoluta garanzia» per la privacy. Nella prima fase Immuni funzionerà solo per il tracciamento dei contatti dei positivi: «farà scattare l’alert quando ad esempio il signor Rossi avrà avuto un contatto stretto di meno di due metri per più di 15 minuti con una persona positiva», ha spiegato citando le indicazioni degli scienziati. Ad oggi è previsto che l’allerta arrivi non alle Asl ma al cittadino e sarà quest’ultimo ad avvisare. È chiaro però, secondo il commissario, che «se non c’è tempestività tra la segnalazione e il tampone non si è raggiunto l’obiettivo di contact tracing». Quindi, «è necessario essere sottoposti ai tamponi» nel più breve tempo possibile. Ma sarà fattibile vista la carenza dei test virali? Finora sono stati distribuiti 2,5 milioni di tamponi e le Regioni ne hanno ancora 800 mila. «Continueremo con una massiccia distribuzione – ha assicurato – perché ce ne sia sempre una quantità sufficiente».
INCERTEZZA ANCHE SUI DATI e la loro conservazione. Per Arcuri il governo non ha deciso se rimarranno sui telefoni dei cittadini o saranno custoditi in un «server pubblico e italiano». E non è ancora chiaro quando la App diventerà una sorta di «diario sanitario da remoto» che potrà dialogare con le Asl. Questa funzione, si limita a dire Arcuri, sarà disponibile «in tempi ravvicinati».