La questione catalana occupa ormai saldamente il centro del dibattito e rischia di soffocare qualsiasi altro tema di discussione da qui al giorno delle elezioni generali il 20 dicembre. Per la verità, gli eventi che si susseguono non sono neanche più notizia per la loro prevedibilità. Lunedì la maggioranza indipendentista del Parlament catalano, formata dal Junts pel Sí (coalizione che unisce partiti di centrodestra e centrosinistra) e il movimento anticapitalista e femminista della Cup, ha approvato la risoluzione in nove punti che dà inizio al “processo costituente cittadino, partecipativo, aperto, integratore e attivo” che apre la strada a una repubblica catalana.

Tra le altre cose, impegna il parlamento ad approvare entro 30 giorni leggi per creare agenzia delle entrate e una previdenza proprie. E soprattutto impegna il futuro governo catalano ad accettare solo le decisioni della Camera catalana, “legittima e democratica” e di respingere le decisioni “delle istituzioni dello stato spagnolo, in particolare il Tribunale costituzionale” perché “delegittimato”. Infine chiede di negoziare la creazione di uno stato catalano indipendente “sotto forma di repubblica”, e di informarne “lo stato spagnolo, l’Unione europea e la comunità internazionale”.

Ampiamente prevista anche la reazione del governo spagnolo, che forte di un rapporto unanime del Consiglio di stato, ieri ha chiesto e ottenuto a tempo di record che il Tribunale costituzionale sospendesse la dichiarazione, informando personalmente 21 dirigenti catalani, fra cui il presidente (ancora ad interim), i suoi ministri, e la presidente del Parlament della (anch’essa scontata) decisione e del fatto che non accettarla implica il compimento di un reato.

Nel frattempo lunedì nella prima votazione per l’elezione del President del nuovo governo, anche qui seguendo un copione noto, l’attuale presidente Artur Mas, candidato di Junts pel Sí, è stato bocciato perché la Cup ha votato contro. Se le cose continuano così anche oggi, anche se in seconda votazione basterebbe la maggioranza dei voti, se la Cup si astiene o vota contro, Junts pel Sí non ha i voti sufficienti per eleggerlo. E la Cup ha detto in tutti i modi che Mas non lo voterà: per i gravissimi casi di corruzione che colpiscono il suo partito, Convergència Democratica de Catalunya, ma anche per la politica liberista e di destra che ha sempre portato avanti. E questo nonostante Mas sembrasse l’ombra di se stesso; il grande successo politico della Cup è stato quello di portare nel dibattito politico temi sociali come il diritto alla casa, la povertà energetica, persino il salario minimo garantito: parlava Mas davanti ai 135 deputati e sembrava di sentire parlare quasi Pablo Iglesias o Alberto Garzón. La Cup ha ottenuto una chiara vittoria politica per il momento, riuscendo a trascinare tutto il variegato mondo indipendentista su posizioni chiaramente di rottura sociale. Ma non può commettere l’errore di accettare Mas, che la sua base (a cui si rimette costantemente attraverso assemblee) non ingoierebbe mai, a rischio di veder sfumare i risultati anche solo simbolici portati a casa sinora.

Vogliono un gesto da parte di Junts pel Sí: se hanno davvero a cuore il “processo”, Mas deve fare un passo indietro, e loro voterebbero praticamente qualsiasi altro candidato. Dato che la numero 2 è la presidente del Parlament e il numero 4 è Mas stesso, si fanno i nomi del capolista Raül Romeva, ex verde passato al bando di Mas, della numero tre Muriel Casals, presidente di una associazione indipendentista, o addirittura del numero 5, Oriol Junqueras, segretario del secondo grande partito della coalizione, Esquerra Republicana, che però finora è rimasto defilato probabilmente per schivare il fango quando – come sembra probabile – tutto questo spettacolo finirà in un nulla di fatto.

A questo punto lo scenario più probabile, a meno di colpi di scena all’ultimo momento, è che tutto rimanga bloccato fino a dopo il 20 dicembre.

A Madrid intanto i socialisti appoggiano Rajoy e Ciutadanos nella sacra difesa dell’“unità della nazione”, mentre Podemos ha finito per accettare l’opzione del referendum come “inevitabile” data la situazione. Come pure Izquierda Unida, che fu l’unico partito nazionale che nelle Cortes votò a favore del diritto all’autodeterminazione catalana pur senza difendere l’indipendenza.