Primo e molto probabilmente penultimo giorno di campagna elettorale per la “consulta” indipendentista del 9 novembre in Catalogna. Con la firma che ieri mattina in una solenne cerimonia tenuta nel palazzo della Generalitat catalana ha apposto il president Artur Mas in calce al decreto di convocazione della “consulta”, la battaglia politica su cui l’esecutivo catalano ha puntato tutte le sue carte entra in una fase incandescente.

Molti catalani aspettavano questo momento con ansia, o almeno da quando il presidente Mas aveva promesso, a dicembre scorso, che il 9 novembre si sarebbe votato sull’indipendenza della Catalogna. Ma l’atto, nonostante l’ostentata pomposità, con tutti i ministri del governo catalano in piedi nell’elegante salone di Sant Jordi (san Giorgio, il patrono catalano), e la diretta televisiva della televisione catalana, è un effimero brindisi al sole. Nel collaudato gioco delle parti fra governo catalano e governo spagnolo, l’apposizione della firma di oggi precede di qualche ora l’impugnazione della legge che permette le consultazioni cittadine non referendarie su temi rilevanti nella vita dei catalani, approvata la settimana scorsa dal Parlament con ampia maggioranza e pubblicata poche ore prima della firma del decreto nel bollettino ufficiale catalano.

Il mistero sul momento in cui il President avrebbe firmato il decreto si è sciolto venerdì quando Mas ha annunciato la cerimonia di ieri alle 10. Il tutto mentre la scorsa settimana 874 dei 947 comuni catalani, tra cui Barcellona, hanno votato mozioni di appoggio al voto. La scelta del giorno era stata calcolata accuratamente. Pubblicarla subito dopo l’approvazione di venerdì sera della settimana scorsa avrebbe dato l’idea di una fretta non necessaria.

Il Tribunale costituzionale, d’altra parte, è rimasto in sessione da martedì a giovedì, e il suo presidente aveva già annunciato che avrebbero modificato l’ordine del giorno se il governo avesse mandato il ricorso. Venerdì era invece prevista la storica audizione in parlamento dell’ex presidente catalano Jordi Pujol, padre politico di Mas nonché considerato alla stregua di un padre fondatore della Catalogna per i suoi 23 anni nell’incarico. Tema del dibattito: la sua confessione di quest’estate di aver nascosto per 30 anni in Andorra un patrimonio familiare molto ingente, secondo lui frutto di un’eredità, ma che molti sospettano abbia altre origini. Soprattutto perché tutti i suoi sette figli e la moglie sono al momento indagati per questioni legate direttamente o indirettamente al ruolo politico del padre (e di uno dei figli).

Il partito di Mas è stato colpito al cuore da questa vicenda e il President non voleva rischiare di essere accusato di voler eclissare la faccenda – anche se Pujol, a cui è stato ritirato persino ritirato il qualificativo onorifico di “molto onorevole”, non ha risposto a nessuna delle domande dell’opposizione limitandosi a rivendicare la sua onestà e il suo ruolo nella costruzione del paese (cioè della Catalogna).

La vicepresidente del governo spagnolo Soraya Sáez de Santamaria, che attualmente esercita le funzioni di presidente in attesa del rientro (avvenuto stanotte) di Rajoy dalla Cina, ha come previsto già attivato il meccanismo per bloccare sia la legge, sia il decreto che convoca la prima consultazione. La tesi del governo è che la sovranità ricade su tutti gli spagnoli e quindi anche un referendum consultivo è anticostituzionale. È stata chiesta entro 48 ore una relazione al Consiglio di Stato e lunedì Rajoy convocherà un consiglio dei ministri straordinario perché martedì il Tribunale costituzionale (che però dovrebbe essere convocato per una sessione straordinaria) possa bloccare legge e decreto in attesa di pronunciarsi. In quel momento la Generalitat sarà costretta a fermare le macchine.

Il decreto firmato da Mas, infatti, prevede già nel dettaglio una serie di passi formali per garantire la celebrazione della consultazione. Sono chiamati a votare i maggiori di 16 anni catalani o residenti in Catalogna (da almeno un anno i comunitari, da almeno tre gli extracomunitari), ma per gli stranieri è previsto un procedimento più complesso: dovranno essere loro a farne richiesta. Viene pubblicato un facsimile della scheda elettorale con il testo delle domande. Che saranno due, come noto da mesi: nella prima si chiede se si vuole che la Catalogna sia uno stato, e nella seconda, se sì è risposto affermativamente, se deve essere indipendente. Il costo previsto è di circa 9 milioni di euro (ne erano stati stanziati 10 – fra i pochi capitoli di spesa per cui non erano previsti tagli quest’anno).

È anche previsto un meccanismo di voto anticipato (fra il 20 e il 25 ottobre), ma non l’usuale voto per posta, nel caso non si possa partecipare al voto il 9 novembre. Già è pronta una pagina web “informativa” (9nconsulta2014.cat) e una pubblicità televisiva. Mercoledì il Parlament è convocato per eleggere i sette membri della commissione di controllo. Intanto, nella centrale Plaça Sant Jaume, sede del governo catalano, campeggia un’urna gigante e un enorme conto alla rovescia: mancano 42 giorni al voto.