Federico Fanti, professore associato di paleontologia presso l’Università di Bologna, ha coordinato progetti di ricerca in Nord America, Asia, Africa e Oceania per documentare l’impatto sull’evoluzione dei cambiamenti ecologici e climatici. Eletto nel 2017 emerging explorer dalla National Geographic Society, sarà tra i protagonisti del Nat Geo Fest 2021 di Milano (da oggi al 12 novembre) dove domenica, alle 19.15, presenterà in anteprima Il cacciatore di dinosauri: Missione Gran Bretagna.
Il documentario, di cui è coautore, andrà in onda prossimamente sul canale Sky 407 e racconterà la nascita della paleontologia moderna nell’Inghilterra dell’Ottocento, quando nemmeno agli occhi della comunità intellettuale risultava agevole distinguere tra un fossile e il misterioso lascito di un mostro leggendario. Si era, allora, alla versione base di uno scontro ideologico tra fake news e metodo scientifico dal quale non riusciamo ancora a venire fuori.

Mary Anning, la protagonista del documentario, aveva però le idee ben chiare…
È stata la prima persona a mettersi sistematicamente alla ricerca di fossili. Senza di lei, probabilmente, la nascita del nostro mestiere sarebbe avvenuta con notevole ritardo. Iniziò la sua carriera sobbarcandosi un’eredità di svantaggi sociali: era una donna povera venuta su in un paesino di provincia, da genitori della religione sbagliata. L’accademia non riconobbe, finché visse, il suo ruolo. Eppure lavorava con costanza sul terreno, si rapportava con le università, si interessava di divulgazione occupandosi perfino delle illustrazioni. Cresciuta lungo la costa della Manica, nelle rocce vide plesiosauri e ittiosauri. Fu un pugno in faccia per il suo mondo, perché rivelò l’esistenza di esseri viventi mai immaginati in un’età in cui gli unici animali del passato erano quelli della Bibbia. Anning raccoglieva dati, con la speranza che la scienza sapesse farne buon uso. La reazione ai dati offerti, tuttavia, fu simile a quella che accoglie oggi le informazioni relative ai cambiamenti climatici. Il problema è che, quando delle informazioni non ci piacciono, si innesca un meccanismo di negazione: ci trinceriamo nelle mitologie, attacchiamo direttamente la persona declassandola a eccentrico portavoce di fenomeni locali, cerchiamo innocue spiegazioni scandalistiche.

Davvero conviene studiare il passato per capire i cambiamenti climatici in corso?
Siamo continuamente alla ricerca di risposte dal tempo, guardando al futuro, e dallo spazio, mentre ignoriamo gli indizi conservati sotto i nostri piedi. La vita sulla Terra ha quattro miliardi di anni, ma stiamo monitorando i mutamenti del clima da meno di cento. Il peso delle due cronologie sulla bilancia non è lo stesso, perché su uno dei piatti pesano quattro miliardi di storie iniziate e finite che ci svelano tutto ciò che possiamo chiedere. E sono storie che hanno riguardato animali come noi che, esattamente come noi, volevano soltanto farcela su questo pianeta. Mi piace ricordare che il lavoro degli scienziati – lo insegnava anche Anning – non consiste nel trovare delle soluzioni, ma nel capire come funzionano le regole del gioco. A quale scopo? Per scegliere le strategie da adottare.

Quali potrebbero essere?
La storia della vita ci dice che, di fronte ai cambiamenti climatici, le strategie sono sempre state tre. Gettare la spugna e estinguersi. Spostarsi alla ricerca di un posto migliore dove vivere: infatti stiamo assistendo all’intensificarsi dei fenomeni di migrazione umana, anche se perseveriamo nel preoccuparci esclusivamente della direzione di questi movimenti e non della loro causa. Adattarsi, termine che l’uomo ha trasformato nella volontà di raggiungere un compromesso: non possiamo più cambiare noi stessi, soprattutto per mancanza di tempo, e allora cerchiamo di modificare il nostro comportamento. La terza è l’unica opzione credibile che ci resta.
Chi studia i dinosauri sa che si sono estinti quando è caduto all’improvviso un meteorite che ha chiesto loro di adattarsi. Ovviamente, non ci sono riusciti. Gli uccelli invece sì, perché rappresentano un ramo dei dinosauri che, in una congiuntura precedente dell’evoluzione, aveva già trovato una strada diversa per sopravvivere. Non da un momento all’altro: da milioni di anni. Sta di fatto che, proprio come successe all’epoca dell’impatto del meteorite, il cambiamento attuale, questa volta innescato dalle potenziali vittime, sia altrettanto rapido. Troppo rapido.

Pensa che abbandonare la Terra sia una delle opzioni percorribili?
No, e anche se lo volessimo ci vorrebbe tempo. Abbiamo la possibilità di risolvere il problema, per cui dobbiamo provarci qui e ora, evitando catastrofismi buoni soltanto a scaricare ogni responsabilità. Fuggire sarebbe in linea con le nostre peggiori abitudini: quando un sistema non funziona più ne cerchiamo sempre un altro, senza mai preoccuparci di aggiustare quanto da noi rotto. È più comodo pensare di cambiare pianeta piuttosto che mangiare meno carne o smetterla di costruire alberghi sulla barriera corallina, per quanto paradossale possa sembrare.