L’editor di una fortunata serie di alta divulgazione (la Home University Library of Moderne Knowledge) cercava, nel 1933, uno studioso che avesse voglia di scrivere un profilo di Marx; dopo avere ricevuto alcuni rifiuti, decise di proporre il lavoro al giovane Isaiah Berlin, allora alle prime armi, ma certamente promettente. Nato a Riga nel 1909, con la sua famiglia Berlin aveva finito per rifugiarsi in Inghilterra, nel 1921, abbandonando la Russia bolscevica. Da poco diventato Fellow del prestigiosissimo All Souls College di Oxford, accettò l’incarico affidatogli, e lo prese molto sul serio; il libro infatti uscì solo nel 1939, dopo diversi anni di lavoro.

Nel tempo ebbe diverse edizioni, fu in qualche parte modificato dall’autore, e comunque godette di una fortuna che non lo ha abbandonato fino ad oggi: opportunamente, Adelphi ripropone oggi questa biografia dalla storia singolare (Marx, traduzione di Paolo Battino Vittorelli, pp. 309, € 28,00), l’esordio su commissione del grande storico delle idee.

Visione meno severa
Ebreo ed esule dalla Russia, Berlin non aveva certo molti motivi per simpatizzare con Marx, tuttavia la lettura dell’autore del Manifesto che egli propone appena trentenne è molto più simpatetica e meno severa di quelle che proporrà in età matura, quando si imporrà all’attenzione come uno dei più interessanti esponenti del liberalismo novecentesco. Il Berlin che scrive su Marx nell’età tra le due guerre è infatti molto distante da quello che nel 1958, con il famoso saggio sui Due concetti di libertà, sferrerà un attacco decisivo a tutta la linea di pensiero politico roussoiana e marxiana, accusandola di avere elaborato una concezione della libertà che non poteva se non generare esiti totalitari.

L’attitudine traspare già in modo chiarissimo nell’incipit del volume: «Nessun pensatore del secolo scorso ha avuto un’influenza così diretta, meditata e profonda sull’umanità quanto quella esercitata da Karl Marx. L’ascendente intellettuale e morale che ebbe sui discepoli negli anni della sua vita e in quelli successivi fu straordinario, anche per l’epoca aurea del nazionalismo democratico, nella quale erano emersi grandi eroi e martiri popolari, figure romantiche quasi leggendarie, la cui esistenza e le cui parole dominarono la fantasia delle masse e dettero origine a una nuova tradizione rivoluzionaria in Europa».

Il metodo della storia delle idee, che qui Berlin applica già con grande maestria, consiste in buona sostanza nell’accostarsi all’autore studiato non con l’intento di sviscerarne i teoremi filosofici (che pure non vengono ignorati) ma privilegiando di gran lunga il contesto, le relazioni, le influenze culturali e politiche, insomma tutto ciò che concorre a far sì che il pensiero assuma una certa configurazione.

Da questo punto di vista, la biografia marxiana di Berlin è veramente emblematica, e la ricostruzione del contesto e degli influssi intellettuali sembra a volte debordare, espandersi più di quanto sarebbe compatibile con l’architettura di un volume che consta di poco più di trecento pagine, sebbene anche questi capitoli di inquadramento si leggono sempre con piacere e interesse: vale sia per quelli dedicati a Hegel e alla sinistra hegeliana, per quello molto ricco intitolato «Parigi» dove l’autore, oltre a occuparsi del soggiorno parigino di Marx dal quale scaturirono i famosi Manoscritti economico-filosofici del 1844, tratteggia velocemente i profili intellettuali di molti protagonisti di quella fase di effervescenza teorica, rivoluzionaria e democratica: da Saint Simon a Fourier, senza dimenticare Proudhon, Blanqui, Bakunin e Moses Hess, di cui Marx apprezzò molto alcuni scritti, in particolare il saggio su L’essenza del denaro. Non mancano neppure pagine dedicate al protocomunista tedesco Wilhelm Weitling, da Marx apprezzato in un primo momento e poi aspramente criticato.

Ma qual è in fin dei conti l’immagine di Marx che emerge dal profilo berliniano, al di là di tutta l’attenzione per i fermenti che intorno a lui si sviluppavano, e che variamente ne influenzavano la riflessione? Nel tentativo di mettere a fuoco il motivo più profondo e unificante del pensiero di Marx, Berlin si sofferma soprattutto sulla sua visione della storia. Da buon discepolo di Hegel, quale Marx è sempre rimasto, l’autore del Manifesto comunista ragiona a partire da una concezione della storia come processo di sviluppo governato da ben precise leggi razionalmente ricostruibili.

Per Berlin, «il nucleo della concezione hegeliana rimane a fondamento del pensiero di Marx anche se tradotto in termini semi-empirici». Anche per lui la storia si lascia comprendere come processo razionale sul quale gli uomini e le classi possono agire solo in quanto ne comprendano le leggi e si adeguino ad esse.

Formulazioni calzanti
Nel complesso, il giudizio che Berlin formula a proposito della visione marxiana è calzante e anche piuttosto simpatetico: quella di Marx è una «dottrina ampia e organica, che trae la propria struttura e i propri concetti fondamentali da Hegel e dai giovani hegeliani, i princìpi dinamici da Saint-Simon, la fede nel primato della materia da Feuerbach e la concezione del proletariato dalla tradizione comunista francese». E tuttavia, scrive, l’approdo non è una forma di sincretismo, «ma costituisce un sistema audace, chiaro, coerente, dotato di quella vasta portata e di quell’imponente qualità architettonica che è il maggiore vanto e al tempo stesso il fatale difetto di tutte le forme di pensiero hegeliano».

Rispetto all’hegelismo, però, Berlin riconosce a Marx il merito di evitare qualsiasi ragionamento aprioristico, e di cercare, almeno nelle intenzioni, di supportare le sue tesi con la più ricca base di ricerca storica ed empirica (per convincersene, basterà leggere le ricchissime parti storiche del Capitale).
Leggere il riconoscimento che Berlin tributa all’autore del Manifesto comunista, prima di diventare uno dei mostri sacri del liberalismo novecentesco, è impressionante: «Anche se si riuscisse a dimostrare che tutte le specifiche conclusioni sono false – scrive – rimarrebbe intatta l’importanza che essa riveste per avere dato vita a una visione interamente nuova dei problemi sociali e storici, aprendo così nuove vie alla conoscenza umana».