Il suo nome è stato associato da sempre all’intelligenza artificiale, da quando, giovanissimo, partecipò al primo incontro dedicato alla possibilità di sviluppare macchine «pensanti». A quel progetto Marvin Minsky è sempre stato fedele, anche quando generazioni successive di fisici, ingegneri, neurobiologi hanno considerato lo sviluppo di un’intelligenza artificiale una mission impossible.

Con la sua morte, avvenuta nei giorni scorsi, ma resa pubblica solo ieri, scompare così il testimone di una stagione entusiasmante della computer science, quella cominciata negli anni Cinquanta del Novecento e finita agli inizi degli anni Settanta, una manciata di anni dopo l’uscita del film di Stanley Kubrick 2001 Odissea nello spazio, che aveva visto proprio la sua collaborazione sia alla scrittura della sceneggiatura che durante le riprese. Un film che aveva come protagonista un computer, «Hal 9000», capace di pensare e di avere sentimenti al pari di un umano: una rappresentazione cioè fedele a quanto sostenevano Marvin Minsky e uno stuolo di fisici, matematici, ingegneri, tutti convinti che il pensiero, l’intelligenza, i sentimenti potessero essere descritti secondo la logica computazionale della Macchina di Turing, base indiscussa della computer science.

Nato a New York, Marvin Minsky aveva interrotto gli studi per arruolarsi in marina agli inizi della seconda guerra mondiale. Già allora il Pentagono era diventato un centro di ricerca e sviluppo su temi di frontiera. E lo sviluppo di un computer era un obiettivo strategico per i militari Usa. Così, a guerra finita, fu costruito un prototipo di computer (chiamato Eniac, un ammasso di valvole e circuiti usato per fare rapidi calcoli), grazie all’arruolamento di fisici, matematici e ingegneri, tra i quali si staglia il nome di John Von Neuman. Marvin Minsky non entra in ruolo al Pentagono. Partecipa però alla prima conferenza, nel 1956, sull’intelligenza artificiale, espressione coniata dal matematico John McCarthy.

Il giovane Minsky è convinto che ciò che viene liquidato come una terribile fantasticheria dai giornali – l’intelligenza artificiale – sia invece una possibilità a portata di mano, a patto che lo sviluppo tecnologico subisca un’accelerazione. Prende posizione affinché il governo di Washington investa in questo settore, prospettando una situazione simile al progetto Manhattan, quando una comunità di scienziati, sotto l’ombrello dei militari, ha partecipato, negli anni Quaranta, alla costruzione della bomba atomica.

Sono questi anche gli anni della sua collaborazione con Seymour Papert, altro guru dell’intelligenza artificiale, con il quale scrive un testo dove i due ricercatori mettono a nudo i limiti degli studi sulle reti neurali artificiali. Per Minsky e Papert, la strada seguire non è la riproduzione delle reti neurali umane, bensì la modellizzazione matematica di alcuni processi cognitivi. Per questo sviluppano un linguaggio di programmazione informatica (Logo) ritenuto per quasi vent’anni il miglior dispositivo per sviluppare programmi che «imitano» l’intelligenza umana.

Studi, ricerche che proiettano Minsky al centro della scena scientifica statunitense. Riceve premi, fonda il laboratorio di intelligenza artificiale del Mit, è corteggiato da registi e scrittori per tessere trame sulle macchine pensanti, nonostante l’intelligenza artificiale incontri perplessità e opposizione tra religiosi, filosofi. Ma Marvin Minsky prosegue per la sua strada. Sta scrivendo un libro sul fatto che il pensiero può essere rappresentato come un insieme di «mattoncini» (chiamati frame) che interagiscono tra di loro. Il libro avrà come titolo La società della mente (in Italia è stato pubblicato da Adelphi), dove l’intelligenza è descritta al pari di una società, con tanto di istituzioni preposte al controllo, regole di comportamento, legami sociali, funzioni da svolgere.

Minsky è consapevole che per costruire una macchina pensante non serve solo una potente tecnologia, ma anche un insieme di conoscenze sul funzionamento del cervello. Da convinto assertore della possibilità di poter immaginare un cervello senza organi, nel tempo è diventato più cauto nelle previsioni, soprattutto su quando l’uomo sarà in grado di costruire una macchina pensante. Si applica sui sistemi esperti e si schiera risolutamente contro la proprietà intellettuale. Da buon scienziato, ritiene che la conoscenza debba circolare liberamente senza troppe barriere. Era però un sopravissuto di un’epoca che è stata scalzata via da computer efficacissimi. E, a differenza delle sue convinzioni, molto potenti nella loro capacità di calcolo, ma comunque stupidi.