«L’Unione europea sta vivendo il suo momento forse più drammatico dai giorni dell’unificazione e dell’allargamento all’Europa orientale. Ci sono forze che vogliono riportare l’Europa indietro agli Stati nazione. Sono preoccupato per questa situazione».

Non usa mezzi termini Martin Schulz per descrivere il momento di estrema difficoltà che l’Unione europea sta vivendo da mesi. I motivi di esserlo, secondo il presidente del parlamento europeo, sono molteplici: l’avanzata delle forze populiste in molti paesi dell’Unione (come hanno appena dimostrato le elezioni regionali francesi), la crisi dei migranti, che ogni giorno presenta il conto con naufragi e vittime e il terrorismo.

Tutti fattori di forte instabilità ai quali si somma, ed è forse l’elemento di inquietudine più forte, la scarsa collaborazione tra paesi che, in quanto membri della stessa comunità politica, anziché trovare strategie comuni sembrano voler andare sempre più ognuno per la sua strada.

 

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«L’Europa è sull’orlo del collasso», avverte quindi Schulz che a Bruxelles accetta di sottoporsi a un’intervista collettiva da parte di giornalisti di tutta Europa. In un giorno in cui, per di più, bisogna registrare l’ennesima strage di migranti lungo le coste della Turchia, con sei bambini morti nel tentativo di approdare ad una vita migliore.

«Manca la volontà di collaborare nell’aiutare i rifugiati», denuncia Schulz facendo riferimento, pur senza citarli mai, ai paesi dell’est contrari alla politica di ricollocamento voluta da Bruxelles.

«Abbiamo di fronte persone che scappano dal terrorismo, dal regime di Assad e che vengono da noi senza avere più niente, solo con i bambini in mano. Dobbiamo accogliere queste persone, ma è chiaro che non possiamo faro con tutti: dobbiamo controllare caso per caso chi ha diritto all’asilo e chi no. Un milione di persone divise per 500 milioni di abitanti dell’Unione europea non rappresentano un problema. Ma se alcuni stati membri si rifiutano di accoglierli, allora sono un problema. Per questo dobbiamo rendere più sicuri in confini esterni dell’Unione, in modo da continuare a garantire la libera circolazione attraverso i confini interni».

Nel corso dell’intervista collettiva a Bruxelles, il presidente del parlamento europeo ha affrontato vari temi: gli hotspot, la pressione dell’Unione europea per una maggiore collaborazione tra gli Stati membri, la divisione dei migranti, considerando il desiderio maggioritario di recarsi presso paesi ben precisi, Germania e Nord Europa, fino ad arrivare alla possibilità che si realizzi una mini-Shangen e alle problematiche determinate dall’atteggiamento di alcuni paesi dell’est, come ad esempio Macedonia e Ungheria.

Presidente, Italia e Grecia stanno aprendo gli hotspot: è davvero questa la strada per risolvere la crisi dei rifugiati?

No, gli hotspot non sono la soluzione alla crisi, ma dobbiamo avere un sistema che funziona meglio di quanto non accada oggi. Per questo occorre far funzionare il meccanismo dei ricollocamenti.

Cosa può fare l’Unione europea per garantire sicurezza ai suoi cittadini e allo stesso tempo aiutare i rifugiati?

Come Unione europea stiamo facendo pressione sugli Stati membri perché collaborino di più nello scambio di informazioni. Il problema è che siamo aun punto così drammatico che paesi come la Danimarca fanno un referendum per chiedere ai propri cittadini se avere oppure no una maggiore collaborazione tra gli stati membri sulla sicurezza, e i cittadni hanno detto no (posizione sostenuta dal Partito Popolare, formazione euro scettica e anti immigrati, ndr). E’ incredibile. Questo voto dimostra che i citatdini danno la colpa all’Ue di quanto sta accadendo. Cercano capri espiatori ma non danno mai soluzioni. La situazione è complicata e il nostro compito è di trovare delle risposte adeguate cosa che i partiti populisti non fanno. Bisogna tener conto che i movimenti estremisti di destra in Francia, Belgio, Germania, esistevano prima della crisi dei rifugiati.

Che senso ha distribuire i rifugiati tra i 28 paesi se poi le popolazioni che migrano in realtà hanno un unico desiderio, ovvero spostarsi e vivere tutti in Germania e in Svezia?

I rifugiati hanno diritto a essere protetti. Se ci deve essere una risposta europea allora chi chiede aiuto deve riceverlo in Ungheria come in Germania. Io dico no all’Europa come una fortezza, ma ci sono alcuni Stati che si comportano come una fortezza

Il sistema dei ricollocamenti può essere considerato come la soluzione giusta?

Non è la panacea di tutti i mali ma stiamo andando nella direzione giusta. Il problema è che i flusso dei migranti non diminuirà fino a quando continuerà la guerra civile in Siria e la regione resterà destabilizzata. Per questo serve un sistema che consenta di ricevere i profughi, ma se non riusciamo a distribuire le 160 mila persone sulle quali abbiamo già un accordo, come faremo ad accoglierne altri? L’Unione europea non ha certo il carico maggiore di rifugiati. La Giordania ne ha 2 milioni, un paese piccolo come il Libano più di un milione. Servono soldi per gestire questa emergenza. Nell’estate del 2015 l’Unhcr e il World Program hanno dovuto ridurre la spesa pro capite per i rifugiati a 50 centesimi al giorno. Servono soldi e faccio un appello agli stati membri perché contribuiscano di più.

Si realizzerà una mini-Schengen?

Non penso che una mini-Schengen rappresenti una soluzione. Se la facessimo, o se reintroducessimo controlli sistematici alle frontiere divideremmo l’Unione europea. Non sono dibattiti interessanti. Il Front national propone di chiudere le frontiere, ma ci sono centinaia di migliaia di frontalieri che se davvero lo facessimo la mattina non potrebbero più andare a lavorare. E si bloccherebbero anche le merci, perché non potremmo fermare le persone e non i camion. Perderemmo tutti i beni ai quali siamo abituati oggi.

L’Ungheria e la Macedonia però hanno chiuso i loro confini.

È un peccato. Si tratta della reazione all’incapacità degli stati membri a mettersi d’accordo sui ricollocamenti. I paesi più piccoli come la Macedonia e la Slovenia si trovano in una situazione che non riescono a controllare. Ma tutti i paesi membri devono capire che il prezzo più alto di questa situazione così drammatica lo pagano i rifugiati, le persone che stanno fuggendo dal terrorismo.