Proclamato santo qualche settimana fa dal settimanale der Spiegel, Martin Schulz non si stanca di fare miracoli. Prima inverte il trend negativo dei sondaggi che da anni affligge la Spd, portandola a uno scarto minimo dalla Cdu di Angela Merkel, poi viene eletto segretario del partito (e candidato alla cancelleria) con il cento per cento dei voti. Risultato inaudito e mai ottenuto nei 150 anni di storia della socialdemocrazia, caratterizzati semmai da una vivace dialettica interna. Non è detto, però, che quest’ultimo miracolo sia un bene. Mostra, in fondo, un partito allo stremo in attesa di qualche evento salvifico, terrorizzato dalla sorte toccata ai «partiti fratelli» greci e olandesi.

Questo imbarazzante unanimismo è reso possibile dalla totale indeterminazione della politica che Martin Schulz vorrà condurre. Infatti, solo a giugno il nuovo leader renderà note le sue linee programmatiche. Per il momento si è limitato a un breve discorso che richiamava nelle tonalità classiche della socialdemocrazia temi altrettanto classici di generica «giustizia sociale» della tradizione Spd. Si trattava, insomma, di trarre i militanti fuori dallo stato di depressione in cui da tempo versano, di rimettere in movimento quel patriottismo di partito che la lunga subalternità ad Angela Merkel aveva finito col sopire. Per ora nulla di più. Se avesse letto dall’elenco del telefono, scrive un ironico commentatore, Schulz avrebbe ottenuto gli stessi entusiastici applausi dell’assemblea. E dunque l’apoteosi dell’«uomo nuovo» è in qualche modo il riflesso di un partito nel quale il dibattito politico e la produzione di idee languono miseramente. Mancano ancora molti mesi alle elezioni ed è ancora tutto da vedere quanto il processo di differenziazione della socialdemocrazia dal pensiero se non unico almeno largamente condiviso con i democratico-cristiani possa essere articolato e approfondito, magari lasciando intravedere diverse alleanze di governo che guardino anche alla sinistra del partito, fino alla Linke. C’è da scommettere che in questo caso dell’unanimismo di oggi non resterà neanche l’ombra. Tuttavia senza una discontinuità ben visibile con la Grosse Koalition, Sankt Martin perderebbe probabilmente buona parte dei suoi devoti. Soprattutto quelli, su cui molto conta, provenienti dalle fila dell’astensione.

Il forte accento europeista è stato l’altro elemento cardine del breve discorso di Schulz. Paradossalmente, la sua provenienza dal Parlamento europeo, la più innocuamente democratica delle istituzioni dell’Unione (a differenza del ring interstatuale del Consiglio e del burocratismo tecnocratico della Commissione) lo fa apparire come un soggetto estraneo all’establishment politico. Quello tedesco in primo luogo. Con lui, sperano in molti dentro e fuori dalla Germania, forse il tempo dei falchi potrebbe volgere alla fine. Sul nuovo leader della Spd gravano, insomma, numerose aspettative. Ma, se non si crede né ai santi né ai miracoli, allora spetterebbe a una mobilitazione dal basso, a una pressione politica generale in senso antiliberista, piegare il corso della Spd per dar loro adeguata risposta.