«È giunto il momento delle scelte politiche per fornire un quadro funzionale e aggiornato del settore». Il sottosegretario all’editoria Andrea Martella “debutta” al convegno dei periodici Uspi con parole inequivocabili.

Ora è il tempo delle «scelte politiche». Più che tagliare i giornali, c’è bisogno di tagliare i nodi che stanno asfissiando il mondo dell’informazione. Precariato, querele temerarie, pirateria informatica ma anche innovazione, nuovo accesso alla professione, diritti, regole e deontologia in un mondo che cambia violentemente.

C’è bisogno di più politica, non meno. «Di confronto dentro e fuori i Palazzi», chiede il senatore di Leu Laforgia.

Nell’attesa di illustrare alle camere il proprio programma, Martella annuncia una serie di incontri con le varie parti e si impegna «per la continuità e la stabilità del sostegno pubblico attraverso la valorizzazione delle risorse statali del fondo per il pluralismo e la loro finalizzazione in un ventaglio di misure coordinate capace di sostenere le imprese anche nel loro percorso di innovazione, e di incentivare la domanda di informazione di qualità». Il sottosegretario è prudente ma le sue parole sono chiare.

Il fondo per il pluralismo (a cui accede anche il manifesto) è importante ma è solo un aspetto nel più vasto mondo dell’informazione: riguarda il 2% dei giornali, il problema è che non funziona bene neanche l’altro 98%. Non a caso il sottosegretario parla di innovazione e di «incentivi alla domanda», temi cari ai 5 Stelle (ma non solo, anche alla Fieg).

Il segretario dell’Uspi Francesco Saverio Vetere, organizzatore dell’iniziativa di ieri in senato, accoglie positivamente l’apertura del nuovo governo e propone un circolo virtuoso tra «regole, innovazione e sostegno pubblico, che deve allargarsi al mondo digitale», lasciato da anni in un far west senza regole o con regole vetuste e inapplicabili.

Su una cosa c’è ormai la certezza: «Ritenere, come è stato fatto nel recente passato, che da solo il mercato possa regolamentare il mondo dell’informazione è stato un vero errore storico», afferma il presidente Uspi. Il mercato non ha interesse a garantire il pluralismo e «l’Italia è penultima in Europa per il sostegno pubblico al giornalismo», come ricorda il senatore Udc De Poli citando una ricerca condotta proprio dal Dipartimento Editoria quando era guidato da Vito Crimi.

Andrea Martella, in secondo piano il presidente nazionale dell'Ordine dei giornalisti Carlo Verna - foto LaPresse
Andrea Martella, in secondo piano il presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti Carlo Verna – foto LaPresse

 

«Serve un approccio sistemico – concorda Martella – con misure che invertano i trend negativi che da quasi un decennio caratterizzano il settore». Il sottosegretario non a caso apre al recepimento della direttiva Ue sul copyright (che in Francia sta già facendo litigare editori e Google) e promuoverà la lotta a una criminalità che sta devastando anche i ricavi digitali con più di mezzo milione di copie pirata diffuse illegalmente ogni giorno.

E’ urgente una riflessione ampia. Carlo Verna, il presidente dell’Ordine dei giornalisti (di cui Crimi auspicava la chiusura) spiega alla platea il percorso di riforma di accesso alla professione, che non può essere fermo a mezzo secolo fa. Ma, come per tutto in Italia, serve una legge.

Serve la politica. Altrimenti il mercato da solo ha già deciso che 2 euro a pezzo possono bastare. Che un videomaker può lavorare finché serve e poi ciao. Che stipendio e diritti di un ufficio stampa li decide chi paga e basta. Che le edicole devono chiudere e i tipografi andare a casa.

Gli esempi possono essere infiniti. Anche gli stati generali ne hanno dati a iosa. L’errore di Crimi è stato aver centrato tutto il fuoco polemico e demagogico sul contributo pubblico a poche testate in cooperativa o su Radio Radicale senza vedere che nel frattempo dalla stalla dell’informazione il giornalismo era scappato da un pezzo.

Oggi l’impresa è titanica. La maggioranza è divisa e il governo debole. Ma una politica che si volti dall’altra parte ancora una volta, sarebbe imperdonabile.