Il 22 maggio ricorrono i cento anni dalla nascita di una delle figure più affascinanti e originali espresse dal jazz d’avanguardia e dall’universo culturale afroamericano, Sun Ra. E tre giorni dopo, il 25, un altro nato sotto il segno dei gemelli, Marshall Allen, compie la bellezza di novant’anni: è proprio il caso di dire la bellezza di novant’anni, perché a vedere l’altosassofonista suonare e guidare l’Arkestra nell’ultima serata di Vicenza Jazz (come l’estate scorsa a Sant’Anna Arresi, sempre alla testa dell’Arkestra, e giorni fa alla bolognese Angelica, in quartetto con un altro grande vecchio, il contrabbassista Henry Grimes), c’è veramente da non credere che Allen abbia tante primavere sulle spalle.

Poco meno di due ore di esibizione, in scioltezza, con la verve di un ragazzino, senza mai – da vero leader – sedersi neanche un attimo. Dagli anni cinquanta storica colonna della creatura orchestrale di Sun Ra che prende forma a Chicago, con Pat Patrick e John Gilmore Allen completa la leggendaria triade di sax della band; morto nel ’93 Sun Ra, nel ’95 poi Allen succede a Gilmore nella direzione dell’orchestra, che dalla base di Filadelfia, dove Sun Ra aveva trasferito l’Arkestra dopo la permanenza newyorkese degli anni sessanta, ha indefessamente portato avanti fino ad oggi. Negli anni cinquanta la musica di Sun Ra, radicata nella grande tradizione delle big band sviluppata dai Fletcher Henderson e dai Duke Ellington, si distingue già per il suo eclettismo e per i suoi elementi non convenzionali e innovativi; negli anni sessanta poi il contatto a New York tra l’orchestra e il free jazz allora in piena ebollizione produce una reazione chimica che fa dell’Arkestra un laboratorio di sperimentazione in cui viene esaltata l’espressione solistica, praticata audacemente sulla dimensione di una formazione ampia l’improvvisazione collettiva, e dato un enorme contributo allo spostamento in avanti della dialettica di improvvisazione e composizione e dell’utilizzo d’avanguardia dell’orchestra.

Acquietatisi gli eroici furori del free, con l’Arkestra Sun Ra ha continuato poi ad illustrarci l’autentico mondo delle big band sostanzialmente dell’era dello swing, con una credibilità e una freschezza che derivavano non solo dalla sua diretta appartenenza a quel mondo, ma anche da tutti gli elementi della sua poetica che dallo swing esorbitavano, e che aiutavano a far sì che la stagione delle grandi orchestre non venisse riproposta in chiave passatista. E’ questo l’aspetto dell’esperienza dell’Arkestra – più che quello di orchestra rivoluzionaria – che Marshall Allen prosegue: quello di una cultura della big band profondamente radicata nella storia ma allo stesso tempo nostra contemporanea.

Un viaggio nel tempo è di per sé il solismo di Allen, che mantiene uno stile personalissimo, tagliente, schizzato, spiazzante: in un lungo assolo sembra di avere di fronte un Johnny Hodges (il suo primo amore) bipolare, che dalla sensualità e dal lirismo scatta a nervose intemperanze. Con i suoi riff, il suo blues, il suo swing, certi suoni “spaziali” di sapore vintage ma anche un pizzico di mambo, le sue canzoncine ineffabili e le acrobazie da capoeira del veterano Knoel Scott, l’astronave orchestrale animata dall’utopia afrofantascientifica di Sun Ra è atterrata al palladiano Teatro Olimpico, non solo cornice degnamente prestigiosa per celebrare il centenario del visionario bandleader e il genetliaco di Marshall Allen, ma fra monumentale proscenio e illusionismo prospettico anche contesto godibilmente surreale, adeguato all’eccentricità anche visiva della compagine, coi luccicanti copricapi e abiti tra Egitto delle piramidi e Flash Gordon. Qui con quattordici elementi, tornerà sul nostro pianeta in estate (fra l’altro ad Estival Jazz di Lugano l’11 luglio) con un equipaggio di ben ventidue musicisti e due ballerine.