Quante volte si è immaginato un mare esotico, palme, sabbia cristallina, scogliere mozzafiato e abissi come acquari? E un indigeno sulla sua barca, con la chiglia turchese, il volto scavato dal vento e le reti fra le dita? Relax, allegria, spiagge da sogno, palme … siamo bersagliati di continuo da immagini e da offertissime per evadere dalla routine quotidina. L’Egitto è solo dall’altra parte del mare Nostrum, un salto di tre ore e mezza. Dal freddo invernale, si è catapultati in creme solari, doposole, infradito, bikini, reticolati di stradine di resort e acque cristalline. Sharm El Sheik, Dahab, Hurghada, Marsalam, sono solo alcuni dei nomi che suonano più che familiari. Una volta arrivati e sbrigate le pratiche amministrative, ci si sdraia su un lettino, cocktail in mano, occhiali sa sole ben inforcati e un mare azzurro che si perde all’orizzonte.

Eppure, non è tutto oro ciò che luccica. Esiste l’altro lato della medaglia: tonnellate e tonnellate di cemento riversate sulle coste del mar Rosso per costruire villaggi turistici a 5 stelle dove il divertimento è garantito. Questo sta trasformando il paesaggio naturale della costa. Cavilli burocratici, bancarotta degli imprenditori, abusivismo … così molte costruzioni sono state abbandonate all’incuria del tempo, provocando un impatto ambientale che non ha nulla da invidiare agli ecomostri nostrani. Il Console onorario italiano a Hurghanda, Alberto Barattini, spiega la dinamica storica della città di Hurghada che, da piccolo villaggio di pochi pescatori, si è trasformata in una vera e propria metropoli.

“A partire dagli anni ‘90, urbanisticamente c’è stato un vero e proprio scempio, permesso da una legislazione che è stata aggirata facilmente, sia per la costruzione di case che di strutture alberghiere. Le amministrazioni precedenti hanno prodotto 20-30 anni di disastri ai quali non è facile porre rimedio nel breve termine. Ciò che valutiamo positivamente è la volontà delle autorità locali di farlo”. Hurghada è stata costruista smantellanto interamente la barriera corallina o gettandovi colate di cemento!

Chi maggiormente ha patito le conseguenze del turismo di massa, sono state le popolazioni indigene dei beduini, costrette dal governo ad abbandonare le loro terre. Così intere culture e mondi che erano in armonia con il territorio circostante sono stati spazzati via per far posto a resort e non solo. A Marsalam è avvenuto un raduno di beduini per discutere della difficile realtà in cui si trovano. Hossein Sabry, racconta la propria esperienza: “Hamata (a 130km dal Sudan) era un piccolo villaggio di pescatori, ora è divenuta una piccola città. Ci hanno mandato via con le nostre barche per costruire un porto turistico, senza preoccuparsi di dove saremmo andati a finire e senza una sostanziale compensazione e completamente a nostre spese”

Un altro beduino, Mahamud Abdel Muneim Sabah spiega l’evoluzione della regione: “Il turismo ha raggiunto Marsalam da circa 35 anni. A suo tempo non esisteva neanche un piccolo albergo in zona, così gli operatori turistici venivano da noi per organizzare dei safari nel deserto o in riva al mare. Piantavamo tende per gli ospiti e servivamo loro cibo.

Era un modo di fare turismo semplice ed ecologico. Poi i grandi investitori sono arrivati con enormi capitali e grandi piani di sviluppo territoriale, forzando il nostro esodo verso zone deserte e aride dell’entroterra. Ci sono poche aree

che sono state risparmiate come Sharm El Luli, Ras Qulan, Abu Gallawa e Ancorab. In quest’ultima sono le donne, di cui alcune vedove, che supportano finanziariamente le famiglie, fabbricando gioielli e borse di pelle che rivendono ai turisti occasionali. Senza questi introiti sarebbero ridotte alla fame”. Un progetto dell’Agenzia Locale per l’Ambiente prevedeva di costruire proprio ad Ancorab un piccolo parcheggio sterrato e un negozio dove potevano essere vendute le produzioni del manufatturiero locale, ma purtroppo è stato bocciato dall’autorità centrale de Il Cairo perché, secondo Sabah, non se ne capiva la reale utilità.

La struttura comunitaria dei beduini è molto patriarcale, esiste il senso di appartenenza al territorio e alla tribù. Per il leader della delegazione, Mohamed Gad, un lease a lungo termine, vincolato a fini ambientalistici, sarebbe la soluzione ottimale per gli autoctoni. Sabah aggiunge: “Queste terre appartenevano ai padri dei nostri padri, appartengono a noi, non è possibile che qualcuno dal governatorato venga e decida il resettlement di interi villaggi solo per far posto ai resort. La nostra idea di turismo è di costruire degli eco-chioschi in spiaggia e strutture alberghiere con il minor impatto ambientale”. I beduini sono coscienti della grande ricchezza il turismo apporta al paese e dei benefici che ne possono trarre. Tuttavia hanno a cuore la terra dove sono nati e vorrebbero dire la loro per far in modo che anche le grandi compagnie che investono nella zona lo facciano nel rispetto dell’ambiente e della cultura locale.

M. Gad ci tiene a precisare: “Chi costruisce i grandi alberghi non conosce la nostra cultura, come pure i lavoratori egiziani che vengono da fuori per lavorare in queste strutture. È importate che la comunità locale partecipi alla gestione del turismo e non venga esclusa, per migliorarne la qualità della vita di chi vive il territorio”

Ci sono delle leggi specifiche per lo sviluppo della regione e l’allocazione delle risorse, per la protezione dell’ambiente e delle popolazioni autoctone, ma non vengono rispettate. “La terra è stata divisa come se fosse una torta, ripartita tra investitori e costruttori, con noi beduini semplici spettatori. Quando abbiamo chiesto certezze per stabilire il nostro ruolo all’interno dello sviluppo turistico della regione, ci hanno sbattuto la porta in faccia. Vogliamo avere voce in capitolo per ottimizzare l’uso delle risorse e non lasciare che vengano depauperate”

Secondo Gad, il governo locale fornisce solo i servizi, non entra nella questione di merito. “Dovremmo stabilire una partnership con il Ministero del Turismo. Ci sono delle zone, come quelle elencate da Sabah, che sono perfette per realizzare un turismo socialmente eco-sostenibile, adatte per le tribù di beduini che potrebbero gestirle direttamente sotto la supervisione del Ministero. Non è possibile che in un posto come Ancorab, pieno di ricchezze naturali, possa essere costruito un resort e smantellata la comunità locale. Lo stesso vale per la laguna di Qulan, circondata da alberi di mango, dove giustamente hanno pensato di costruirci un albergo proprio nel mezzo! È importante far capire agli investitori quale è il migliore sviluppo per la zona e creare una coscienza sociale e civica nel turista”

Per M. Gad i salari sono importanti, ma non costituiscono la soluzione, non è solo attraverso i salari che si migliora la qualità della vita e l’istruzione personale. Ammette che la regione costruiscce scuole, strade, ospedali, case …

“Ma le scuole sono distanti dal nucleo abitato, gli alunni devono attraversare a piedi larghe arterie stradali per andare a lezione. Per le superiori bisogna andare a Hurghada, a circa 400 km di distanza. Gli ospedali non sono ben attrezzati. I lavori precari e sottopagati”

Uno degli obiettivi della comunità dei beduini è quello di far diventare molte zone ancora incontaminate parchi nazionali od aree protette, ma Gad guarda addirittura oltre: “Proteggere l’ambiente è una priorità, ma la sua conservazione nel lungo periodo è fondamentale, e questo lo possono fare solo le genti che vivono e sono storicamente parte in questo territorio”

Famiglie di beduini al mare con le famiglie (Dahab, Sinai)

La consapevolezza della comunità locale è forte e non si tira indietro verso le sue responsabilità. “Abbracciando il nostro punto di vista ci sarà più protezione dell’ambiente. Responsabilizzare i cittadini della regione può essere fatto solo dando loro risorse, servizi di qualità e know how eco-compatibili. Come è importante migliorare la situazione economica familiare, perché per un beduino non potrà mai comprare un pannello solare con uno stipendio mensile di $18!”

Un altro problema che preoccupa molto la popolazione indigena è il lento ma continuo impoverimento della fauna marina del mar Rosso. Le pesanti battute di pesca per soddisfare il fabbisogno crescente dei ristoranti degli alberghi stanno riducendo la quantità di pesci. Inoltre la regione dà la concessione di pesca ad egiziani provenienti dall’oasi del Fayyum o dalle coste del Mediterraneo, dove i metodi di pesca a strascico danneggiano sensibilmente la ricca barriera corallina. Gad mette a disposizione la conoscenza dei beduini: “Siamo disposti a insegnare i nostri metodi per evitare danni irreversibili nel mare, perché con l’overfish non rimane molto pesce per le popolazioni locali. L’attuale struttura del turismo non supporta un piano di sostenibilità a lungo termine. È tutto l’ecosistema che ruota intorno al turismo di massa che va ripensato, altrimenti intere aree del pianeta, tra cui Marsalam, ne pagheranno irreversibilmente le conseguenze. A rimetterci saremo tutti: i beduini, gli investitori, il governo e i turisti”