Il primo, atteso, ritorno di questa 74a edizione della mostra è quello di Vincenzo Marra. Con questo non vogliamo dire che Marra se ne fosse andato. Questo regista napoletano, lavora ininterrottamente dalla fine degli anni novanta. Ma nella sua filmografia c’è stato un momento di difficoltà a produrre film di medio budget. Eppure, due splendidi film di finzione Tornando a casa (2001) e Vento di terra (2004) che avevano impressionato la critica al suo esordio e gli avevano aperto la strada a una distribuzione internazionale. Nonostante questo, nella metà degli anni duemila Marra ha soprattutto girato a piccolo budget. Poco male perché, con l’economia produttiva del documentario, ci ha regalato film eccezionali: L’udienza è aperta e Il gemello, per citarne due dei titoli migliori.

Si sa che il documentario è poco popolare, anche quando, come in questo caso, porta sullo schermo personaggi più profondi e storie più belle di quelle che si vedono solitamente al cinema. In questo senso, il ritorno al formato della finzione (iniziato con La prima luce) è una bella notizia. Equilibrio, si chiama il film che porta quest’anno alle Giornate degli autori. La vicenda di un prete inviato nel mondo a sperimentare sul terreno della vita l’effettività della fede, si annuncia così: una storia capace di trasmettere personaggi che l’arte toglie nel flusso dell’ordinario senza astrarli da esso o, come si dice semplicemente, e qualche volta con un po’ di retorica, «reali».

Altro ritorno assai atteso: Takeshi Kitano. È proprio a Venezia che Kitano si è fatto conoscere come cineasta e si è imposto come uno degli autori più innovativi del cinema a cavallo tra la pellicola e il digitale. Perché è grande Kitano? Quello che gli riesce meglio è l’inversione. Con una semplicità di cui solo lui conosce il segreto, il dramma diventa umore, l’umore poesia, la violenza e il caos precisione e bellezza. Per questo non è tanto o perlomeno non solo il genere yakuza a tornare (fuori concorso) con Coda, la terza parte di Outrage (il primo e secondo episodio sono rispettivamente del 2010 e del 2012). Quello che si ha voglia di veder tornare è la magia del Takeshi, quel suo cinema che dal nulla fa sgorgare dirompente un tutto.

Ora, è noto che al cinema il ritorno non esiste. Proprio perché tecnicamente possibile, sullo schermo più ancora che nella vita appare evidente che non si rivede due volte la stessa cosa. Eppure John Landis ha voluto, per il ritorno di Thriller, assicurare al pubblico che l’esperienza sarà veramente nuova, e non un semplice restauro. Ma come rinnovare il cortometraggio più visto di sempre? Per rendere unico ciò che è stato visto milioni di volte non c’è altro modo: bisogna ucciderlo. L’arma scelta è la tecnologia: in questo caso la 3D. L’idea in sé non è nuova. L’ha avuta George Lucas e in effetti la sua riedizione dei primi tre episodi di Star Wars è riuscita a uccidere l’antica. O a trasformare quest’ultima in una sorta di zombi (si aggira in qualche VHS e per la rete). Per Thriller, il 3D avra lo stesso effetto?