I funerali di Gabo non saranno pubblici, ma si svolgeranno in forma privata, mentre nel pomeriggio di lunedì, Città del Messico gli renderà omaggio con una cerimonia presso il Palazzo delle Arti. La Colombia, da parte sua, ha decretato tre giorni di lutto nazionale e il presidente Juan Manuel Santos ha tentato in queste ore il tutto per tutto, addirittura mettendo a disposizione l’aereo presidenziale affinché la famiglia possa valutare l’opportunità di riportare il corpo dello scrittore in patria.

I primi anni. Nato a Aracataca nel 1928, in una famiglia molto numerosa – erano sedici figli – Gabriel García Márquez frequentò a Bogotà la facoltà di giurisprudenza: non era quella però la strada da percorrere per Gabo. Presto, iniziò a pubblicare i primi racconti sulle riviste e mosse i primi passi nel giornalismo.

Chiamato a Cartagena per lavorare a El Universal, tornò nella sua città nel 1954, sempre per svolgere l’attività di «periodista», questa volta con El Espectador. Più tardi, nel 1959, divenne corrispondente da Bogotà per la Prensa Latina, agenzia di stampa cubana e strinse i rapporti con Fidel Castro, che considerò sempre diverso dalle tante figure di caudillos che popolavano l’America Latina e il Centroamerica: lo ritenne un «grande idealista», nonostante in più occasioni fu costretto a chiedergli una maggiore democrazia per il suo paese. L’informazione fu un territorio che García Márquez percorse parallelamente a quello letterario per l’intera sua esistenza: nel 1994 lo scrittore fondò la Iberoamerican Foundation for New Journalism, dove veniva rivolta un’attenzione particolare alle inchieste e ai réportages.

Il cinema neorealista. Nel 1955 uscì Foglie morte, romanzo nato sotto l’influsso della scrittura di quello che sempre Gabo indicò come un maestro, William Faulkner («Durante un viaggio ad Aracataca che mi accorsi che tutto quanto era accaduto nella mia infanzia aveva un valore letterario che solo adesso iniziavo ad apprezzare…Ora so che soltanto una tecnica come quella di Faulkner mi avrebbe consentito di scrivere quello che vedevo»). Nel medesimo anno, giunse in Europa dove strinse una relazione professionale e affettiva con l’Italia: frequentò il Centro sperimentale del cinema, ammirando il Neorealismo e facendo amicizia soprattutto con Cesare Zavattini. Come critico, fu piuttosto umorale. Riservò tutto il suo entusiasmo al Neorealismo, amò i toni fantastici di Miracolo a Milano di Vittorio De Sica, definì Umberto D «un’opera capitale della storia del cinema, che onora tutta l’umanità», non concesse la stessa sollecitudine alle prime prove di Fellini e Antonioni e, cimentandosi con la cinematografia americana, demolì Sabrina di Billy Wilder: gli sembrò una «commedia da quattro soldi e imperdonabile».

Ritorno in Colombia. Il suo rientro in patria – che avvenne anche su spinta dell’amico scrittore Alvaro Mutis (fra i primi lettori delle bozze dei suoi scritti) segnò l’inizio di una produzione letteraria sempre più intensa. Cent’anni di solitudine, considerato il suo capolavoro, l’apice della saga macondiana, uscì in Argentina nel 1967 per Editorial Sudamericana; era stato «annunciato» da romanzi tra cui Nessuno scrive al colonnello e La mala ora, ma anche dalla raccolta di racconti I funerali della Mamá Grande. La saga della famiglia Buendía ha venduto milioni di copie nel mondo ed è stata tradotta in 37 lingue, ma Márquez confessò in seguito di sentirsi intrappolato e prigioniero di quel successo.

Oltre Macondo. Fuori del ciclo di Macondo, c’è il romanzo L’autunno del patriarca, storia di un dittatore immaginario; il racconto lungo L’incredibile e triste storia della candida Eréndira e di sua nonna snaturata (1972); il romanzo breve Cronaca di una morte annunciata (1981), da cui Francesco Rosi trasse un film; il romanzo L’amore ai tempi del colera (1985) che finì sullo schermo per la regia di Mike Newell (con Javier Bardem, Giovanna Mezzogiorno, stasera in programma su Rai3, alle ore 21); Il generale nel suo labirinto (1989), ispirato alla vita di Simón Bolívar; Dell’amore e di altri demoni (1994).

Taccuini e politica. Nel 1982 a Gabriel García Márquez venne assegnato il premio Nobel per la letteratura. Durante le cerimonie a Stoccolma, tenne due memorabili discorsi, «La solitudine dell’America Latina» (in cui espresse la sua fiducia nella «utopia della vita (…) dove le stirpi condannate a cento anni di solitudine abbiano finalmente e per sempre una seconda opportunità sulla terra» e «Brindisi per la poesia», un elogio «all’energia segreta della vita quotidiana».

Fra le altre pubblicazioni, la raccolta di articoli Taccuino di cinque anni 1980-1984 (1991) e l’indagine giornalistica Notizia di un sequestro (1996, sul rapimento di dieci persone da parte dei narcotrafficanti). Nel 2001 uscì la prima parte della sua autobiografia, Vivere per raccontarla, cui seguì Memoria delle mie puttane tristi (2004).

Le battaglie sociali. Non solo scrittore, Márquez ha combattuto lunghe battaglie contro la pena di morte e in favore del disarmo. Alcuni suoi discorsi, davanti a alte assise internazionali, sono rimasti nella storia, soprattutto quelli in cui si scagliava contro l’imperialismo americano. Ha seguito ed è intervenuto sui fatti internazionali più importanti che hanno attraversato la storia del Novecento: dalle rivoluzioni di Cuba e del Portogallo alla tragedia cilena, al Che, fino alla Spagna postfranchista di Felipe Gonzalez.