Maroni lo sa perché il ministro dell’Integrazione ha deciso di non partecipare al dibattito sull’immigrazione che si è tenuto ieri alla festa della Lega di Milano Marittima. Non per evitare il rischio un nuovo lancio di banane, ma «perché si è resa conto che molte delle cose che dice sono sbagliate». Lei, Cécile Kyenge. Non Calderoli con le sue allucinazioni zoomorfe, tanto per citare un nome dalla lista di magistri elegantiarum padani che in questi giorni hanno dato sfoggio delle loro doti di buon gusto; non i vari legionari del Carroccio che, nelle roccaforti leghiste, se ne vanno per non ascoltare il ministro e inquinano le bacheche di Facebook con deliri razzisti che spaziano dai Crodini alle incitazioni allo stupro e arrivano alla congiura armata. Nemmeno Castelli, che chissà da quale cattedra definisce Cécile Kyenge «una nullità politica». Neanche per sogno: è il ministro che dice cose sbagliate come, ad esempio, chiedere a Maroni di censurare pubblicamente questa vergognosa sequela di insulti piovuti sulla Kyenge (anche) da parte di rappresentanti delle istituzioni. Cosa che Maroni si è guardato bene dal fare, senza peraltro considerare che proprio nel suo ingiustificabile silenzio sta la ragione del rifiuto del ministro. Un rifiuto che Maroni ha accolto «senza rammarico», ma che ha ricevuto l’appoggio di Livia Turco, presidente del Forum politiche sociali e immigrazione del Pd, che è intervenuta sul caso usando parole taglienti nei confronti della Lega: «declinando l’invito, Kyenge ha ribadito l’onorabilità delle Istituzioni e della politica e ha riaffermato con forza i valori e la dignità della persona. È avvilente – ha poi sottolineato – come al giorno d’oggi ci siano forze politiche che calpestano con indecenza e sconsideratezza il rispetto che si deve alle istituzioni e ad ogni singolo individuo».
Intanto la vicenda – sempre in bilico tra l’assurdo e il vergognoso – ha avuto ieri una virata verso il lato dell’assurdo. Gli integralisti cattolici del circolo «Cristus Rex» di Verona, hanno denunciato la responsabile per l’Integrazione per una frase pronunciata dal palco della festa del Pd di Cantù contro un’eventuale legge per la proibizione del burqa. Se venisse imposto un tale divieto, aveva detto la Kyenge «dovrebbe valere anche per le suore». Il circolo di integralisti non ha gradito ed è scattata l’esposto per i reati di discriminazione religiosa e lesione del sentimento religioso.
L’eco del deplorevole caso Kyenge ha nel frattempo fatto il giro del mondo sui media. L’altro ieri il Washington Post ha dedicato alla vicenda un editoriale che evidenziava la cecità delle posizioni xenofobe anche in relazione al fatto che l’Italia è uno dei paesi con il più basso tasso di natalità a livello mondiale.
Il caso è arrivato anche in Africa dove la questione del razzismo italiano è finita su vari mezzi di comunicazione in differenti paesi del continente. In Angola un giornalista televisivo ha lanciato via Fb una chiamata per radunare quante più persone possibile davanti all’ambasciata italiana a Luanda: tutte mangeranno una banana in segno di protesta. Qualcuno non è d’accordo e puntualizza «abbiamo già i nostri problemi». «Ma il razzismo – gli fanno notare – è un problema che riguarda tutti».