Il giorno dopo, sul tavolo della Lombardia, c’è un bicchiere con dentro 2 milioni 869.797 voti e tutt’intorno gente rimasta a secco che si dà gran pena per capire se quel bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto. Ancora una volta a morire di sete sono gli elettori che, se esistesse in una qualche forma ragionante, si collocherebbero a sinistra.

Roberto Maroni ha vinto oppure no? Questo l’argomento che in effetti si presta a duplici e complesse letture, per cominciare però è più facile dire chi ha sicuramente perso anche questa volta: il Pd, che in disordine sparso ha deciso confusamente di votare Sì, e la sinistra non pervenuta e sparpagliata che ha deciso per l’astensione e in misura minore per il No (3,9% cioè 118.668 voti). Stesso discorso vale per il voto più consistente dei Cinque Stelle che si sono prestati a lanciare la volata all’unico vincitore autoproclamato da tempo, quella vecchia volpe di Bobo Maroni che tatticamente si è dimostrato furbo ed esperto come Luciano Spalletti (squadra piuttosto scarsa ma ottimi risultati).

L’ex braccio sinistro “lumbard” di Umberto Bossi certo non gode del consenso di un Luca Zaia eppure è ancora lì, in testa alla classifica, un primato che peserà anche nei rapporti con il capo nazional-sovranista della Lega Matteo Salvini.

La Lombardia non sarà il Veneto – lo dice la storia, soprattutto di Milano – ma è da imprudenti definire modesto o fallimentare il risultato del referendum consultivo “farlocco” del governatore leghista sul tema dell’autonomia, per di più a pochi mesi dalle elezioni regionali del 2018: è andato a votare il 38,2% dei lombardi (95,2% per il Sì, 3,9% per il No). A Milano città, come prevedibile, l’affluenza è stata molto più bassa (26,3%), segno che la retorica autonomista contro il “centralismo romano” non attecchisce più di tanto dove già ci si pavoneggia da città-stato (in provincia di Milano 31,2%).

La provincia dove si è votato di più è quella di Bergamo (47,37%), a seguire Brescia (47,37%), Lecco (44,78%), Sondrio (42,31%), Como (41,64%), Cremona (39,90), Monza (39,52%), Varese (39,44), Lodi (39,39), Mantova (35,87) e Pavia (33,55). In numeri assoluti – e fanno più impressione – sono comunque 2 milioni e 869.797 persone che nella regione più ricca d’Italia hanno abboccato al discorso leghista.

Qualcuno dice troppo pochi, ma anche la matematica a volte è solo un’opinione. Ha una sua logica ma solo numerica il ragionamento di chi sostiene che la somma percentuale di tutti i partiti che si sono orientati per il Sì (con riferimento alle regionali del 2013) avrebbe dovuto dare una somma vicina all’80%. Ma il dato politico si presta anche ad altre considerazioni da non sottovalutare, inoltre i partiti ormai da tempo non sono più in grado di orientare il proprio presunto elettorato, specialmente su quesiti di natura referendaria.

Intanto, senza scomodare Gramsci e il concetto di egemonia, la Lega – e il centrodestra a rimorchio che non ha mosso un dito per la campagna – hanno vinto perché sono riusciti a definire il terreno del confronto resuscitando un pensiero autonomista che sembrava morto e sepolto. Risultato: il venticello del nord ovest ha sbaragliato avversari inconsistenti e balbettanti (alle prossime regionali il candidato del centrosinistra Giorgio Gori, che domenica ha votato Sì, farà la fine di tutti gli altri che hanno sfidato Maroni, presto dimenticati).

Il 38% di partecipanti non è la rivoluzione, vero, ma non bisogna trascurare il fatto che si trattava solo di un noioso referendum consultivo senza un minimo di contradditorio, i partiti infatti erano quasi tutti per il Sì (difficile scaldare gli animi). E che a Milano, alla fine della campagna elettorale più lunga e chiacchierata per la presa di Palazzo Marino, due anni fa, solo la metà degli elettori si è presa la briga di scegliere tra Sala e Parisi. E, a proposito di astensionismo, chi ironizza sul “flop” di Maroni – qualche eminenza grigia del pensatoio Pd – dovrebbe ricordare il dato dell’affluenza alle ultime “vere” elezioni regionali in Emilia Romagna: un disastroso 37,7%, meno della furbata leghista dell’altro ieri mascherata da referendum. C’entra molto poco, ma visto che ci si sta esercitando a partire dalle nude cifre, non va dimenticato che il referendum in Catalogna è stato votato dal 42% degli aventi diritto al voto.

Come premio politico di consolazione, molti possono continuare a giocare al tiro al piccione sottolineando il parziale “flop” del voto elettronico lombardo (lungaggini imbarazzanti nello spoglio a causa di chiavette ingarbugliate) e i milioni di euro buttati dalla Regione Lombardia per acquistare migliaia di tablet. Pagliacciate e sprechi. Discorsi “egemonici” di una certa consistenza che però hanno fatto il loro tempo. Serve altro, non solo in Lombardia, per tornare al centro della scena.