Hajar Raissouni è libera. La giornalista marocchina era stata arrestata lo scorso 31 agosto e in seguito condannata a un anno di detenzione con l’accusa di aver avuto relazioni sessuali al di fuori del matrimonio e di aver abortito illegalmente. Con lei erano finiti in carcere il suo compagno, condannato anche lui alla stessa pena, e il ginecologo, condannato invece a due anni di prigione e successivi altri due di interdizione delle sue funzioni. Più leggere le pene per l’infermiere e la segretaria della clinica, condannati rispettivamente a un anno e otto mesi di pena sospesa.

La scarcerazione è avvenuta per grazia reale mercoledi 16. La motivazione fornita dal re marocchino Mohammed VI sarebbe quella di «preservare l’avvenire dei due fidanzati che contano di fondare una famiglia conformemente ai precetti religiosi e alla legge, malgrado l’errore che hanno commesso e che ha portato a questi sviluppi giudiziari».

IN UN’INTERVISTA rilasciata il giorno successivo alla scarcerazione al quotidiano francese Libération, Raissouni, che durante i 47 giorni di detenzione ha perso 17kg, ha affermato di restare convinta che il suo arresto e la successiva condanna abbiano motivazioni politiche. «Ricordo che le prime domande che mi sono state poste dalle autorità marocchine concernevano i miei zii Souleymane Raissouni (militante e giornalista, ndr) e Ahmed Raissouni (fondatore del Mur – associazione considerata un tempo la fucina ideologia del Pjd, il partito della destra islamista oggi al governo – oggi auto esiliatosi in Arabia Saudita per divergenze con la famiglia reale, ndr) e su Taoufik Bouachrine, l’ex-proprietario del giornale Akhbar Al-Yaoum (su cui Hajar scrive con lo zio, ndr), condannato a 12 anni di prigione lo scorso anno con accuse di violenza sessuale che ha sempre respinto dichiarandosi anche lui vittima di un processo politico. Senza dimenticare – ha aggiunto la giornalista – quelle inerenti le mie attività nella regione del Rif, dove tra il 2016 e 2017 ho coperto mediaticamente le attività portate avanti dal movimento Hirak».

NONOSTANTE LA GRAZIA ottenuta, Hajar ha ribadito la volontà di continuare a battersi affinché venga riconosciuta giuridicamente la sua innocenza rispetto al reato d’interruzione di gravidanza contestatole.

Immediata è stata la smentita della procura di Rabat, che attribuisce l’arresto della giornalista a una indagine di più ampio respiro legata alle pratiche abortive illegali in atto nella clinica in questione.

Quello che è certo è che – durante la detenzione di Raissouni – la società civile marocchina si è mobilitata per chiederne la liberazione a gran voce: attraverso i giornalisti nazionali e internazionali che hanno dato risalto al suo caso, ma anche attraverso la redazione del Manifesto firmato simbolicamente il 23 settembre da 490 donne per chiedere la depenalizzazione delle relazioni sessuali fuori dal matrimonio, per le quali l’articolo 490 del Codice penale prevede fino un anno di reclusione. Dopo tre settimane, sono già 10mila le firme raccolte. L’obiettivo è di arrivare a 25mila, per poter depositare in parlamento la petizione e provare ad abolire l’articolo 490.

IN PARALLELO, le principali ong marocchine che si occupano di diritti umani hanno chiesto al parlamento di riprendere in mano il progetto di legge – fermo dal 2016 – che prevedeva di estendere la possibilità di ricorrere all’aborto almeno in caso di violenza sessuale, incesto, disturbi mentali della donna incinta o malformazione fetale. A oggi, l’articolo 453 del Codice penale prevede fino a 2 anni di reclusione per la donna e 5 per il medico operante.

Una vicenda, quella di Hajar Raissouni, che torna ancora una volta a mettere in risalto come in Marocco certi diritti umani siano ancora lontani dall’essere rispettati o più semplicemente percepiti come tali, che si parli di libertà di stampa o di libertà sessuale.