Nel primo pomeriggio del 13 gennaio la Corte suprema indiana ha deciso unilateralmente di prolungare la licenza estesa per «motivi sanitari» al fuciliere Massimiliano Latorre lo scorso mese di settembre. A Latorre, che aveva subìto un attacco ischemico mentre risiedeva all’interno dell’Ambasciata d’Italia a New Delhi, è stato permesso di rientrare in Italia per il percorso di riabilitazione intrapreso in strutture mediche italiane.

Con quest’ultima estensione – la quarta – in scadenza il prossimo 30 aprile, il computo parziale della licenza per il sottufficiale – accusato dall’India, assieme al commilitone Salvatore Girone, del duplice omicidio dei pescatori Ajesh Binki e Valentine Jelastine al largo delle coste del Kerala nel febbraio del 2012 – conta ora 19 mesi consecutivi di permesso di residenza in Italia, mentre ancora si attende il verdetto del collegio arbitrale dell’Aja circa la giurisdizione della vicenda, contesa da Italia e India in sede legale internazionale.

Durante l’udienza i giudici hanno richiesto che il governo centrale indiano aggiorni la Corte circa gli sviluppi del procedimento internazionale all’Aja. I rappresentanti dell’accusa dovranno produrre un rapporto entro il prossimo 13 aprile. L’estensione della licenza di Latorre salva di fatto l’India da un impaccio di carattere burocratico.

Nella sentenza del Tribunale del Mare di Amburgo dello scorso mese di luglio – al quale l’Italia si era rivolta, senza successo, per ottenere il ritorno di Salvatore Girone in Italia – i giudici internazionali avevano disposto la sospensione di iniziative legali nei confronti dei due fucilieri da parte di entrambi gli Stati in causa, fino a che il collegio dell’Aja non fosse arrivato a un verdetto definitivo sulla giurisdizione.

La decisione della Corte suprema di ieri, quindi, può essere interpretata come l’ennesimo segnale distensivo in una vicenda che si protrae ormai da quasi quattro anni, con pesanti ripercussioni sui rapporti bilaterali tra India e Italia. E, in ottica nazionale, che esercita notevoli pressioni sui rispettivi primi ministri – Narendra Modi e Matteo Renzi – costretti a gestire una matassa politico-legale lasciata in eredità dai governi precedenti.

Martedì 12 gennaio, alla vigilia dell’udienza in Corte suprema, il «chief minister» (il «primo ministro» dello Stato federato) del Kerala Oomen Chandy aveva chiesto che Modi in persona intervenisse per far rientrare Latorre in India, sostenendo che i due fucilieri accusati di omicidio dovessero essere giudicati da una Corte indiana. Dichiarazione rilasciata in risposta alle parole del senatore Pd e presidente della commissione difesa in Senato Nicola Latorre, che aveva anticipato il rifiuto categorico italiano a un eventuale ritorno in India del fuciliere.

Il senatore, inoltre, aveva ribadito che la diplomazia di Roma stava vagliando la possibilità di formulare una richiesta esplicita al collegio arbitrale dell’Aja, chiedendo che anche Salvatore Girone possa rientrare in patria in attesa della sentenza circa la giurisdizione del caso.

A questo proposito, secondo quanto anticipato dal deputato di Forza Italia Elio Vito sulla sua pagina Facebook, nella giornata di oggi la ministra della difesa Roberta Pinotti sarà chiamata a riferire in parlamento circa le azioni legali che l’Italia intende intraprendere. Salvatore Girone risiede ancora all’interno dell’Ambasciata d’Italia a New Delhi, con libertà di movimento in tutta la capitale indiana e obbligo di firma settimanale presso la questura locale.