Ora è ufficiale, nel braccio di ferro tutto interno al governo indiano, la linea soft dell’asse Ministero degli Esteri e Ministero della Giustizia ha avuto la meglio sull’intransigenza professata da Sushilkumar Shinde, ministro degli Interni. Nella giornata di ieri l’ennesima udienza del caso Enrica Lexie ha sancito una volta per tutte l’esclusione del Sua act – la legge federale anti-pirateria – dalle norme alle quali l’accusa potrà appellarsi per perseguire i due fucilieri di Marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre.
Si tratta di una buona notizia per i due marò e per gli strateghi della diplomazia italiana, che con le pressioni internazionali intensificatesi nell’ultima settimana, sono riusciti a escludere una legge che prevedeva l’inversione dell’onere della prova, imponendo che i marò fossero giudicati innocenti oltre ogni ragionevole dubbio.

Cassata la legge anti pirateria, il procuratore generale Vahanvati ha richiesto però che il caso rimanga comunque nelle mani della National Investigation Agency (Nia), così che la polizia federale specializzata in anti-terrorismo possa formulare al più presto i capi d’accusa rifacendosi alle leggi del Codice di procedura penale indiano. Richiesta che è stata contestata dalla difesa dei marò, sostenendo che per statuto la Nia non può occuparsi del caso se non rifacendosi a una legge federale. Il pool di giudici della Corte suprema si prenderà quindici giorni di tempo per esaminare le posizioni delle parti, pronunciandosi sulla legittimità della Nia non prima della seconda settimana di marzo, almeno secondo le indiscrezioni.

Tutto nuovamente rimandato, quindi, in attesa di capire se l’arrivo della neoministra Mogherini alla Farnesina al posto di Emma Bonino, segnerà anche un cambiamento strategico per arrivare a una risoluzione di un contenzioso con l’India lungo ormai più di due anni.