Leggere i polizieschi di Petros Markaris dà la possibilità di gettare uno sguardo sui problemi economici della Grecia nelle sue relazioni con l’Unione Europea e con la società greca nel suo complesso, dagli anni settanta del Novecento a oggi. Questa è la qualità principale dei romanzi che ruotano intorno al commissario ateniese Kostas Charitos: approfondiscono la Storia contemporanea dal lato socio-economico mentre la Storia è ancora cronaca. L’elogio ha però bisogno di una riflessione preparatoria. Va detto in primo luogo che tutto arriva alla sua conclusione. La dodicesima indagine di Charitos sembra proprio l’atto conclusivo della saga che Markaris cominciò nel 1995 e che sbarcò in Italia tradotta nel 2000. Vi è un po’ di stanchezza e di ripetitività nella macchina narrativa. Dopo la «trilogia della crisi» che si è poi arricchita di un quarto capitolo (Prestiti scaduti, L’esattore, La resa dei conti e Titoli di coda, pubblicati tra il 2011 e il 2015), la serie si è allungata con altri titoli, usciti in Italia non più da Bompiani ma da La nave di Teseo, per precisa scelta dell’autore: L’assassinio di un immortale (2016), Il prezzo dei soldi (’17) e L’università del crimine (’18).
Le indagini di Charitos hanno accompagnato l’andamento della crisi greca dai suoi primordi nel 2009. I delitti su cui ha indagato da allora sono intimamente legati ai problemi economici della Grecia in ambito UE, problemi che l’autore, appassionato di Brecht e traduttore di Goethe, ha anche spiegato al pubblico tedesco in una serie di articoli poi raccolti in Tempi bui (Bompiani, 2013). Gli assassini, da Prestiti scaduti in poi, sono chiaramente degli osservatori partecipi della crisi greca, degli economisti pragmatici e infine, inevitabilmente – data la cornice di un romanzo poliziesco – dei vendicatori dei torti subiti dalla società. L’ultima indagine, Il tempo dell’ipocrisia (La nave di Teseo, traduzione di Andrea De Gregorio, con qualche refuso più del solito, pp. 353, e 18,00), non fa eccezione. Lo schema, anzi, è ancora più chiaro. Il motivo è che addosso allo scheletro della narrazione e alle sue articolazioni economico-finanziarie la carne letteraria è pochissima. Il carattere dei personaggi, vittime e assassini, è ridotto all’osso. Anche l’ambientazione ateniese è particolarmente scarna.

Promoveatur ut amoveatur
Un secondo e più cogente motivo per considerare conclusa la serie si trova nella narrazione orizzontale. Markaris racconta Charitos uomo e poliziotto più che avvincere il lettore con la sua ennesima inchiesta. Charitos all’inizio del libro diventa nonno e a due terzi viene promosso da commissario a vicedirettore della Centrale di polizia. La sua ruvida dialettica col suo ex capo, Ghikas, ormai in pensione, è finita. Ora, pur riluttante, deve prendere possesso dell’ufficio di Ghikas ai piani alti. La scena in cui i due si incontrano in un caffè di viale Alexandras sottolinea che il tempo è passato, il giovane collaboratore di un tempo ora è dirigente, il vecchio capo è un pensionato che si diletta con la pesca. Rimane spazio solo per la stima reciproca e un fondo di nostalgia. Promoveatur ut amoveatur vale anche in letteratura: la promozione di Charitos è un mezzo per farlo uscire di scena. Markaris arriva ad affiancargli un esperto di reati economici, Ilias Koulakos, che si dimostra più attento e anche più spiritoso di lui. Del resto, a Charitos ora interessa innanzitutto suo nipote, che la figlia Caterina, spezzando ogni tradizione, ha voluto chiamare Lambros, come Lambros Zisis, il vecchio comunista che da avversario negli anni settanta del giovane poliziotto di destra che Charitos fu de facto, nel corso degli anni è diventato un grande amico suo e della sua famiglia, oltre che la sua coscienza sociale ed economica.
Più che valutato sul piano letterario, Il tempo dell’ipocrisia può essere usato per operare un carotaggio contenutistico, confrontando il testo con un altro dello stesso tipo. La domanda che è produttivo fargli è: come viene vista la UE ad Atene oggi, nel 2019? Che venga vista male è ovvio. Interessante è la strategia narrativa con cui la questione si intreccia dentro la trama. Una delle sei vittime, l’imprenditore filantropo (solo di facciata, dunque ipocrita) Paris Fokidis, che ha una ex-moglie inglese, non paga le tasse in Grecia ma nelle Isole Cayman, che sono parte della Gran Bretagna. Tra parentesi: non è difficile leggere in questa pagina un commento alle speranze nascoste sotto la Brexit, ovvero trasformare l’intera Gran Bretagna in un paradiso fiscale aperto a imprenditori ipocriti come Fokidis. La seconda vittima, il funzionario dell’Elstat (l’equivalente dell’Istat italiano) Lazaros Kaplanis, è legato per evidenti motivi di lavoro all’Eurostat. La sua ipocrisia consiste nel truccare i dati della disoccupazione greca, contando come occupati anche coloro che si accontentano di uno stipendio troppo basso per dare da vivere. Si lega a questi trucchi contabili (che certo non si praticano solo in Europa, ma anche negli Usa e dappertutto) la contrapposizione – centrale nel romanzo – tra cinquantenni e ventenni: ben pagati i primi e perciò licenziati per far posto ai secondi, sfruttati e pagati pochissimo. Il triplice omicidio che segue coinvolge un funzionario italiano dell’FMI, un dirigente greco del ministero dell’economia e un dirigente belga, che la sera prima avevano cenato al ristorante per festeggiare l’aumento del Pil greco e delle entrate fiscali. Che questi risultati siano realmente positivi per i cittadini ovviamente non è vero, dunque il festeggiamento è ipocrita e segue l’omicidio dei vendicatori. Charitos si trova suo malgrado affiancato da un delegato dell’Europol, il tedesco Kurt Rotman.

Città europee, ghetti per ricchi
Con questo personaggio, Markaris dà una decisa stoccata al mondo UE: nel suo primo incontro con Charitos, Rotman dice sinceramente come stanno le cose («le grandi città europee si stanno trasformando in ghetti per ricchi») e se è compito della polizia arrestare gli assassini, è anche vero che questi assassini «hanno ragione». Quando poi segue l’incontro ufficiale con gli ambasciatori dell’Italia e del Belgio, Rotman cambia completamente posizione, si trasforma in un perfetto neoliberista e quindi afferma di non comprendere il movente degli assassini. Lo confesserà poi a Charitos quando saranno di nuovo soli a tu per tu: Rotman non ha detto ciò che pensa perché vuole fare carriera e ha deciso di stare «dalla parte dei vincenti». L’opinione di Markaris è affidata alla giovane collaboratrice di Charitos, Koula: «Se avessi saputo a cosa sarei andata incontro, prima di entrare in polizia avrei studiato economia. Visto come vanno le cose, devi essere un esperto di finanza per risolvere i delitti e arrestare i colpevoli». Lo sguardo si sposterebbe forse dagli assassini ai responsabili della difficile situazione attuale e non solo salirebbero sul banco degli imputati quei greci malati di «responsabilitofobia», gli esperti dello scaricabarile, ma anche la UE e la Gran Bretagna.
Una dinamica non molto dissimile è contenuta nel romanzo dello svizzero Nicolas Verdan Le mur grec, 2015, uscito in Italia col titolo L’ultimo caso dell’agente Evangelos (Nuova editrice Berti, traduzione di Francesca Cosi e Alessandra Repossi, pp. 233, e 18,00). Come Charitos, anche Evangelos ha un passato di giovane poliziotto all’epoca della dittatura dei colonnelli (1967-’74) e adesso, verso la fine della carriera, è diventato nonno. Il romanzo di Verdan però non è l’ennesimo di una serie. Racconta un preciso caso avvenuto nel 2010 al confine tra Grecia e Turchia lungo il fiume Evros: mentre uno spregiudicato imprenditore greco, Panos Barbaros, grande finanziatore occulto di partiti politici di ogni tendenza, punta a vendere allo Stato greco un muro di filo spinato della lunghezza di 12,5 km nei pressi dell’Evros (poi effettivamente costruito nel 2012, un anno dopo lo scoppio della guerra in Siria) per difendere i confini dall’immigrazione, un altro imprenditore, meno influente del primo, Nikolaus Strom, tedesco con madre greca, che cercava di vendere anche lui un muro, ma alla metà del prezzo, viene attirato in un’imboscata in un bordello proprio nei pressi dell’Evros. Tuttavia scampa alla morte e muore invece il suo assalitore, mandato da Barbaros a eliminare il concorrente. Evangelos scopre che il bordello sull’Evros, su cui campeggia con triste ironia la scritta Eros, è un ritrovo di poliziotti europei di Frontex, l’agenzia europea per il controllo della frontiera secondo gli Accordi di Schengen.
Il romanzo di Verdan è ricchissimo di dati reali e storici. Dietro nomi d’invenzione si intravede un materiale da inchiesta giornalistica così scottante da aver forse spinto l’autore a un più prudente trattamento letterario. Purtroppo Verdan non ha voluto rinunciare, nello scrivere Trivialliteratur, alla «serietà» dei molti dati frutto del lavoro di inchiesta, e il risultato è quello di una ricetta non ben mantecata. L’Europa che emerge dal romanzo non è migliore. Agenti Frontex di varie nazionalità europee, poco amalgamati tra loro, trovano un punto d’incontro nello sfruttamento abietto della prostituzione, al limite della psicopatia, in un bordello di confine. Mentre in Verdan le ragioni del documentarista soffocano quelle del romanziere – che si avvertono solo nel racconto della fuga di Strom verso la Bulgaria –, in Markaris i dati socio-economici, pur non essendo sufficienti a costruire un poliziesco avvincente, costituiscono la stoffa del credibile sviluppo della vita di Kostas Charitos e del suo entourage. Se Markaris proseguirà la serie, ora che il ruolo di commissario è stato assegnato al vice Dermitzakis, nulla sarà più come prima. La sequenza dei dodici romanzi 1995-2019 rimarrà a raccontare con rigore e ironia una Grecia vittima della UE, ma anche di sé stessa.