Documentarista e critico cinematografico Mark Cousins, nato in Nord Irlanda, di base a Edimburgo, è presente a Cannes con The Story Of Film: A New Generation, un tour negli ultimi dieci anni di cinema. Capelli arruffati, vestito con un rigoroso kilt nero, braccia tatuate con un ramo di eucalipto e icone artistiche, che dicono già molto di lui, racconta con la sua voce soave: «Dopo 10 anni dal mio film The Story Of Film: An Odyssey sono emersi nuovi registi. La tecnologia si è evoluta, sono nati movimenti importati come the black lives matter. La storia del cinema è come il delta di un fiume dove convogliano tante sorgenti, nel mio film ho voluto rappresentare questo delta. Il cinema ha più voci, ora tante, come non ha mai avuto prima». Mi mostra delle pagine appese alla parete, scritte a mano, per parlarmi della struttura del film «Come puoi vedere non ho usato una struttura tradizionale. Avevo uno schizzo di quello che volevo far vedere. L’argomento della prima parte tratta delle innovazioni, di film che scardinano i confini del cinema. La seconda parte è la rivoluzione apportata al cinema».

Il concetto di bellezza di cui parli nel film mi ha riportato ai pensatori del XVIII secolo, alla Critica del giudizio di Kant.

Non ho paura ad usare la parola «bello» per un film, Kant e la Critica del Giudizio è un punto di riferimento per me. Anche se non sono un accademico, non lavoro nel modo accademico, sono legato a questa idea romantica, antica di concetto di bello e di desiderio. M’interessano le emozioni umane. Mi chiedo cosa mi seduce in un film. Quando guardo un film mi sento innocente, bombardato dalle emozioni. Lascio che il film agisca su di me. Questo è un buon modo di vivere, non c’è cinismo. Per usare una metafora, mi pongo di fronte alla visione come un terreno fertile.

Due volte parli di Rembrandt e Van Gogh, quale è la tua relazione con l’arte?

Ho studiato storia dell’arte, dipingo e disegno, anche se non sono molto bravo. Se guardi le mie braccia tatuate ho Albrecht Durer qui e Paul Cezanne su quest’altro braccio. Molti film-maker, quando parlano delle loro idee fanno riferimenti alla pittura, David Lynch parla di pittura costantemente e così Martin Scorsese. Faccio riferimento a Paula Rego in questo film, ci sono riferimenti che ci aiutano a vedere. La mia domanda costante è perché ci piace un film e Rembrandt mi aiuta a capire.

Mark Cousins

Nel film citi Godard e Laurie Anderson, il tuo ultimo progetto si intitolava « The Story of Looking», hai scritto un libro sulla storia della visione, puoi dirmi qualcosa su questo?

Sono affascinato dalla nostra visione, che è molta limitata, è peggio di quella di molti animali. Un gatto può avere un campo visivo molto più esteso del nostro. Sono diventato quasi cieco con il mio occhio sinistro, ed ho subito un intervento alla cataratta. Ora vedo molto meglio. Quest’esperienza mi ha fatto riflettere sulla visione limitata degli esseri umane. Non siamo in grado di vedere gli infrarossi, molti animali possono. Questo mistero mi ha fatto riflettere sulla nostra capacità visiva, e la meraviglia della visione. Filmmaking è l’arte del vedere. Ho usato nel film il cane, perché come esseri umani ci sentiamo i più potenti e importanti del pianeta, ma non lo siamo affatto.

Qual’ è l’etica dell’affidarsi alla visione?

Guardo i film con innocenza, mi espongo emozionalmente ma quando esco dalla sala inizio a riflettere su cosa ho visto e perché mi sono emozionato, mi chiedo se il regista mi ha usato come un violino. Quando vedo un film mi affido completamente al regista, ma mi chiedo se ha abusato della mia fiducia. Questo è quando subentra l’etica. Come realizziamo un film, come realizziamo film che comprendono il sentimento umano, la gioia, la tristezza, la melanconia. La questione è come ci fidiamo del filmmaker. Questo è l’aspetto etico della visione. È un rischio, si può rimanere feriti da un film, il cinema può colpire. Joker ferisce le persone. Joker è un film molto duro.

Dopo tanti anni di lavoro, quanto è difficile per te reperire i finanziamenti?
Alla fine dei titoli di coda in questo film c’è solo il nome di una produzione Hopscotch Productions. Non ho avuto soldi dalle televisioni o dalle istituzioni, non ho avuto nessun finanziamento. È stato interamente prodotto da una piccola casa di produzione di Glasgow. Lavoro velocemente ed in modo economico, non sono costato molto ai miei produttori. Il vantaggio è avere totale libertà intellettuale e creativa per realizzare quello che voglio. Non devo concorrere agli Oscar. Realizzo film che parlano della purezza del cinema, non in modo snob, m’interessa anche il cinema popolare.

Quale è la funzione sociale del cinema per te?

Il cinema non può cambiare le cose, non riesce per esempio a rappresentare la guerra con chiarezza. Personalmente sono stato in tre conflitti bellici, ti posso assicurare che la guerra è una realtà molto più dura di quello che il cinema è in grado di rappresentare. Il cinema ha cambiato qualcosa, in Giappone, in America, ha cambiato la legislazione, ed anche in Gran Bretagna e in Polonia. Ma il cinema è un’arte intima, coinvolge le emozioni, è connessa con la nostra salute mentale. Sono più felice grazie al cinema. Mi porta fuori da me stesso. Ho la tendenza a riflettere e angosciarmi, sono uno che si sveglia al tre del mattino, il cinema è un’arte della gioia, che mi connette con l’esterno, e capisco che i miei problemi non sono così importanti rispetto a quelli di altre persone. Il cinema mantiene la salute mentale questa è la sua funzione sociale.

Per chiudere vorrei una tua riflessione sulla Brexit e su Netflix.

La Brexit è un vero disastro. Potrei parlare per ore della sua funzione catastrofica, perché sono del Nord Irlanda, è una questione che mi fa male profondamente. Brexit è un atto di ego e di neocolonialismo. Sta dominando il Regno Unito. La mentalità collettiva del nostro paese è credere che siamo i migliori di qualsiasi altro paese al mondo. La Gran Bretagna è un grande paese, ma non è migliore di atri. Riguardo Netflix, sta facendo un buon lavoro nel finanziare film, deve continuare con questa generosità e apertura di vedute, e non dirigersi verso una posizione troppo macho e di esclusività. La gente che gestisce Netflix ha una passione per il cinema, noi filmmaker siamo generosi con Netflix e Netflix deve essere generosa con noi, dobbiamo trovare una soluzione nella complessità di Netflix.