È morto ieri pomeriggio, all’età di 92 anni, Mário Soares. La notizia, in realtà non arriva inaspettata, anzi. L’ex presidente era stato ricoverato il 13 dicembre scorso e le sue condizioni di salute erano apparse da subito molto gravi.

Così, intorno alle 15-16 del pomeriggio, repentinamente, su Facebook, cominciano ad apparire i primi messaggi, uno dopo l’altro, per poi riempire i «muri» di tutti. Commenta sul suo profilo Ana Rita Ferreira, politologa, di una generazione che ha sempre vissuto in libertà: «Gli dobbiamo tutto. Grazie, Sempre. Per tutto. Soprattutto per averci permesso di vivere in democrazia e libertà».

Il Diario de Noticias, tra i quotidiani più importanti, titola: «È morto il primo presidente di tutti i portoghesi». Una vita da protagonista della vita politica, nonostante sia stato primo ministro solo 4 anni e presidente della Repubblica per due mandati. No, di fatto, gli incarichi ricoperti dicono poco rispetto a quanto abbia contato uno tra i fondatori del rinnovato Partido Socialista.

Negli anni della dittatura, come oppositore e avvocato difensore degli avversari dell’Estado Novo. Sì perché non vi è dubbio sul fatto che l’elemento centrale della vita di Soares sia stata una profonda e radicata convinzione antifascista, contro un regime che oggi in pochi definiscono in questo modo, ma che allora nessuno aveva dubbi a definire tale.

Non è certo una figura incontestata, anzi, ed è giusto che sia così. Ancora oggi, dopo più di quarant’anni, non sono ancora sopite le divergenze che avevano caratterizzato il periodo post rivoluzionario tra i socialisti e i comunisti, dissapori che non solo avevano coinvolto il segretario generale del Partido Comunista Português, Alvaro Cunhal, ma nel quale anche Enrico Berlinguer, era il periodo dell’Eurocomunismo, aveva giocato un ruolo. Così il comunicato del Bloco de Esquerda: «Nella sua vita è stato contraddittorio e frontale nelle lotte che ha scelto. Ha segnato tutti i momenti determinanti del paese, a volte in conflitto, altre in alleanza con le forze della sinistra».

Il paese è in lutto, perché quando una figura tanto carismatica viene a mancare, anche le controversie, inevitabili, passano in secondo piano. Fino alla fine quella di Soares è stata un’opinione che ha contato moltissimo, una sorta di coscienza da ascoltare in tutti i momenti di difficoltà e impasse. Già fa strano pensare al Portogallo senza di lui. Quando nei momenti di grave crisi politica il consiglio di Stato – organo di consulenza del presidente della Repubblica che riunisce varie personalità della politica portoghese – veniva convocato, la sua era una della voci più ascoltate.

Non è certamente un giudizio storico, quello verrà poi, ma il commiato, per usare le parole di Luiz Inácio Lula da Silva, di «uno dei grandi uomini pubblici del XX secolo, non solo del Portogallo ma dell’Europa e del mondo».

Le esequie funebri dureranno tre giorni. Questa domenica il corpo dell’ex presidente sarà traslato dall’ospedale monastero dos Jerónimos a Belém. Lì sono sepolti Vasco Da Gama, il navigatore che nel Cinquecento aprì la via marittima verso l’India e Luìs de Camões, il Dante Alighieri lusitano. Ma è anche il posto in cui, nel 1985, furono firmati gli accordi per l’ingresso del piccolo paese iberico nella Comunità europea.

È un mondo che scompare, quello delle passioni politiche totalizzanti. Un riferimento a cui aggrapparsi, uno degli ultimi, sicuramente l’ultimo di una stagione straordinaria: quella dell’antifascismo e della Rivoluzione dei Garofani.