Sono passati più di 150 giorni dalla morte di Mario Paciolla, cooperante Onu in servizio nella Missione di Verificazione delle Nazioni unite in Colombia. Il caso giudiziario è diventato anche un caso diplomatico. Dalle informazioni che sono trapelate dalle indagini in corso in Colombia e in Italia emergono ipotesi contrastanti, incompatibili: si è trattato di suicidio secondo le autorità colombiane mentre è stato aperto un fascicolo per omicidio da parte della Procura di Roma.

SECONDO VITTORIO FINESCHI, il medico legale che ha coordinato l’esame autoptico eseguito sul corpo di Mario Paciolla, i risultati delle analisi mostrano una risposta chiara ma il verdetto non può ancora essere reso pubblico su richiesta della Procura che ha già ricevuto le 300 pagine del referto. La procuratrice Lotti che guida il pool di magistrati dedicato al caso ha commentato: «Su questo caso stiamo lavorando pressoché quotidianamente, non è semplice perché il materiale non si trova tutto in Italia, dobbiamo lavorare con diversi contesti e interlocutori ma le attività vanno avanti e abbiamo già acquisito molto materiale che si trova ora al vaglio». Nel frattempo all’appello mancano informazioni riguardanti la terza indagine che sarebbe in corso internamente alle Nazioni Unite.

INTANTO LA MEMORIA di Mario Paciolla continua a essere mantenuta viva da familiari, amici, colleghi e associazioni da entrambi i lati dell’oceano. Lo scorso novembre, il comune di Frattamaggiore ha esposto lo striscione per chiedere verità e giustizia seguendo l’esempio del municipio di Napoli. Proprio di Napoli Mario scriveva anche quando era lontano dalla sua terra. Durante un festival dedicato al giornalismo civile internazionale dal nome «Imbavagliati», è stato ricordato il lavoro di Paciolla insieme a quello di Giancarlo Siani, Ilaria Alpi e Giulio Regeni. Il presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana Giuseppe Giulietti ha dichiarato anche a proposito del caso Paciolla: «Saremo scorta mediatica per avere verità e giustizia».

ANCHE IN COLOMBIA il cooperante italiano ha lasciato il segno nella memoria dei suoi abitanti. Durante il Festival «Remare per la Pace», il volto di Mario Paciolla è stato dipinto sulla facciata di una roccia sul fiume Pato, dove l’uomo aveva contribuito a costruire il festival per favorire il reintegro degli ex combattenti nella società civile attraverso lo sport.

Sempre dalla località del Pato, nel comune di San Vicente del Caguàn, viene il ricordo di Norberto, vicepresidente di Amcop, la riserva agricola locale, secondo il quale la morte di Mario «è stato un evento imprevedibile, ha lasciato una grande sensazione di amarezza, un silenzio strano».

Edilma invece, anche lei attivista di San Vicente del Caguàn, intervistata dal ricercatore Simone Ferrari, ha lanciato un messaggio alla famiglia di Mario ricordandolo come «una persona molto importante per questo municipio, soprattutto per i nostri leader sociali, era una persona che si preoccupava sempre della vita sociale di questa comunità».

DALLA VALLE DEL CAGUÁN vengono anche le parole, riportate da Agensir, di Padre Giacinto Franzoi, missionario che racconta il fallimento degli Accordi di Pace i cui sforzi «sembrano scritti sulla sabbia» e commenta la morte di Mario Paciolla denunciando: «Lo hanno ucciso per bloccare la pace».

A fare eco a queste parole ci sono le riflessioni di Ascanio Celestini che, dalla sua pagina personale, invoca un’analisi più approfondita del caso, un lavoro di decostruzione e inchiesta per non limitarsi ad accettare le versioni rassicuranti diffuse dalle autorità, per non ripetere l’errore dei casi Giuseppe Pinelli, Stefano Cucchi e Davide Bifolco.

IN QUESTI GIORNI dove i limiti della diplomazia italiana rendono ancora più insopportabile la violenza che ha ucciso Giulio Regeni e che tiene prigioniero Patrick Zaki, diventa urgente rompere anche il silenzio istituzionale che attornia il caso di Mario Paciolla.

UN MODO PER FARE breccia nel muro di omertà che ostacola le indagini è anche quello di riportare le parole scritte da Mario Paciolla, in questo caso i versi condivisi dagli amici che gestiscono la pagina che chiede verità e giustizia per il cooperante, giornalista e poeta: «Non ritrarrò né l’alba né il tramonto di un Placido paesaggio campestre, ma ne coglierò l’essenza. Non conoscerò il nome delle stelle, ma riuscirò a raccoglierlo quando inciamperanno nel buio. Non avrò le Ali di un gabbiano, forse, ma volerò lo stesso». In questa direzione va anche l’appello di Anna Motta, la madre di Mario Paciolla, che ci ricorda: «Mario merita e pretende verità e giustizia, per questo mi rivolgo alle tante persone che lo hanno conosciuto e che sanno la verità sulla sua morte, di abbandonare le reticenze e l’omertà, di dare voce alle proprie coscienze e di collaborare, chi non lo farà si renderà complice di questo delitto».