Si chiama Mario Oliverio ma per tutti è «Palla Palla». Il presidente della Regione Calabria prende il nome dalla contrada dalla quale proviene, nel comune di San Giovanni in Fiore. Il fatto che Oliverio, 65 anni, venga appellato con un toponimo è indice della sua storia. Il paesone di Gioacchino da Fiore, che coi suoi 18 mila abitanti è il paese più popolato d’Italia tra quelli sopra i mille metri d’altitudine, è la capitale della Sila cosentina.

QUI, DOVE REGNA L’URBANISTICA disordinata delle rimesse degli emigrati e dove pullulavano forestali e «lavori socialmente utili» come forma ante litteram del reddito di cittadinanza, arrivavano i grandi latifondi che partivano dalla costa ionica.

Gli abitanti di queste terre si sentivano prigionieri. Alla paura dello spazio aperto del mare si aggiungeva la diffidenza verso la montagna, considerata aspra e poco redditizia. Gli alberi secolari, come i pirati e i mori che venivano dal mare, erano considerati invasori: venivano chiamati «ladri di terra». Oliverio conosce questa gente e cresce nel Pci. È esponente della classe dirigente che nel partito dagli anni ’70a esprime il superamento della fase delle lotte contadine. Dopo Fausto Gullo e la riforma agraria che porta il suo nome, i comunisti della Sila arrivano in città, a Cosenza. Il capoluogo, crocevia di commerci e terziario, rappresenta il sogno dell’urbanizzazione.

IL CEMENTO CHE AVANZA è il segnale di una composizione di classe che va cambiando, anche grazie al proliferare di assunzioni nel pubblico impiego del secondo dopoguerra. Venivano da Cosenza anche il socialista Giacomo Mancini e il democristiano Riccardo Misasi, rispettivamente ministri dei lavori pubblici e della pubblica istruzione in anni di grandi opere, scolarizzazione di massa e infornate di bidelli e personale della scuola. Ma il Pci calabrese fallisce l’obiettivo di rompere la gabbia del mito delle lotte contadine, non trova un insediamento nelle città e soprattutto una via alternativa allo sviluppo.

OLIVERIO FREQUENTA LA SCUOLA delle Frattocchie, fa carriera nel partito e nelle istituzioni. A 27 anni, nel 1980, è già consigliere regionale. Cinque anni dopo diventa assessore regionale all’agricoltura nella prima giunta di sinistra della Regione. È presieduta dal socialista Cecchino Principe, che negli anni ha trasformato il paese di Rende, alle porte di Cosenza, in cittadina con ateneo residenziale e scelte urbanistiche e sociali che rimandano a modelli di altre latitudini.

IL RAPPORTO TRA CITTÀ e campagna, tra urbanizzazione e piccoli centri, ritorna nella storia della Calabria e nel percorso di Oliverio. Prima diventa sindaco di San Giovanni in Fiore poi va a Roma a fare il deputato per quattro legislature, dal 1992 al 2006. È promotore della prima legge sulla montagna e primo firmatario della legge che istituisce il Parco nazionale della Sila. Da dirigente del Pds, dopo anni di scontri, apre al «vecchio leone» del Psi Giacomo Mancini, che è venuto a fare il sindaco di Cosenza per concludere la sua vicenda politica. L’ex segretario socialista è personaggio complesso: ha costruito un’ampia rete di clientele ma ha anche rimesso la toga per difendere gli imputati dell’Autonomia operaia e poi nominato assessore Franco Piperno. Mancini trova una sponda nel «comunista italiano» che viene dalla Sila.

PER DIECI ANNI OLIVERIO presiede la provincia di Cosenza, la più estesa d’Italia. Nel 2014, sale alla presidenza della regione con il simbolo del Pd. Nella palude di burocrazie e interessi della nuova cittadella della giunta regionale (65 mila metri quadrati di uffici e anticamere per questuanti che lui stesso inaugura) ha la mania di controllare tutto.

Polemizza con i governi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni per il commissariamento della sanità calabrese, cassaforte del bilancio regionale. Negli ultimi mesi, forte della sua decennale esperienza elettorale, era intento a tessere la rete in vista del voto della prossima primavera. Lo si vede accanto al corregionale Marco Minniti, anche se chi lo conosce sostiene che avrebbe finito per appoggiare alle primarie del Pd Nicola Zingaretti. Dopo l’estate duecento sindaci calabresi lo invitano ricandidarsi.

ESPRIME IL SUO SOSTEGNO a Mimmo Lucano, il sindaco di Riace che ieri gli ha espresso solidarietà. Chiama a raccolta giornalisti e scrittori calabresi ad Africo, nel cuore della locride, per riflettere sul modo in cui la regione viene raccontata. Poi il macigno, che porta la firma del procuratore Nicola Gratteri.