Corso San Giovanni è un viale lungo il quale si dipana l’ultimo confine di Napoli verso Portici. I bellissimi palazzi nobiliari che annunciavano il Miglio d’oro sono rovinati dall’incuria, la modernità industriale ha lasciato il vuoto delle dismissioni. Dismessa era anche la palestra che un collettivo di ragazzi della zona ha trasformato nel Nest – Napoli Est Teatro. Da lunedì al 17 marzo metteranno in scena la commedia di Eduardo De Filippo Il sindaco del Rione Sanità, regia di Mario Martone, coprodotto con lo Stabile di Torino e Elledieffe, la compagnia di Luca De Filippo affidata adesso a Carolina Rosi.
Martone aveva già collaborato con il Nest in La Morte di Danton ed Educazione Siberiana, l’idea di mettere in scena Eduardo è stata di Francesco Di Leva, lui è andato da Luca: «Il sindaco, un uomo di 75 anni nel testo, voglio farlo io» e Luca decise di affidare la commedia che racconta di un boss a un ragazzo di trentotto anni della periferia.
Il collettivo del Nest l’anno scorso ha lavorato con un ragazzo, Daniele, durante i laboratori al carcere di Airola. Dopo l’ultimo spettacolo al Teatro Nuovo che chiudeva il progetto, Daniele disse a Francesco:«Stasera è tutto bello ma forse tra quattro giorni devo tornare a rubare». Si sono dati da fare e hanno trovato i fondi: fino al prossimo ottobre resterà con loro come macchinista e attore. Sono stati contattati anche da una ragazza dal minorile di Nisida grazie ai laboratori della compagnia Luca De Filippo. È questo vissuto che li ha spinti verso Il sindaco del Rione Sanità.
Il testo è stato riadattato, «abbiamo fatto molto tavolino» racconta Martone, le scene sono essenziali, lo spettacolo inizia e finisce con una domanda, l’avvio è affidato a un rap Niente di nuovo, scritto da Ralph P, lo straniero del collettivo importato da Scampia. Dalle scene ai costumi, tutto è frutto dei ragazzi del Nest, tranne le luci: «Le cura Cesare Accetta ma va bene perché è nato a San Giovanni» dicono.
«È la prima regia di Eduardo che faccio – spiega Martone – È stato uno dei più grandi scrittori del Novecento, scavava nell’animo umano, ogni scavo era in rapporto con il contesto sociale. I suoi testi sono complessi, si devono leggere come spartiti con una loro musica, le registrazioni e gli attori che hanno lavorato con lui hanno tramandato i suoi codici. Si è creato così un macrotesto e molti registi-attori o capocomici sono attratti proprio da questo macrotesto».

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L’approccio in questo caso è differente: «Un protagonista giovane, come la stessa compagnia, affronta un lavoro che parla di padri e figli. Questo polverizza il macrotesto e fa venire fuori il testo, libero di potersi rapportare al tempo presente. Anche la recitazione non ricalca Eduardo ma le dà un altro sangue, un altro suono».
La commedia venne scritta nel 1960, il protagonista è un boss con l’aura da sciamano in grado di sciogliere i conflitti, l’atmosfera è crepuscolare. «Il rapporto tra il sindaco e il medico (interpretato da Giovanni Ludeno ndr), che gli sta accanto da trent’anni, è quasi quello di un rapitore con il suo sequestrato, afflitto dalla sindrome di Stoccolma – prosegue Martone – Il loro stare insieme non è spiegato, quasi come in un testo di Pinter. Però con il protagonista trentenne i conflitti emergono e in scena arriva la Napoli criminale contro la Napoli legalitaria».
Il sindaco protegge i criminali, perché pone la giustizia prima della legalità, la difesa del sottoproletario che non ha i mezzi del borghese. Ma la sua è la giustizia di un boss, impartita con il rispetto indotto dalla paura. «Il padre ricco (l’attore Massimiliano Gallo ndr) che disereda il figlio ha dalla sua la legge ma, esercitando un’ingiustizia, spinge il figlio verso il crimine. Il sindaco si sacrifica per non innescare una faida. Ma non è più il sacrificio di un anziano ma di un ragazzo giovane, una cosa che a me toglie il respiro. Come i baby boss di oggi e le loro vite contratte».
Non si tratta però di una coazione a ripete sempre lo stesso destino: «L’Adda passà ‘a nuttata di Eduardo – conclude Martone – non è un messaggio di speranza ma l’indicazione di una sospensione in cui non c’è il male o il bene ma la responsabilità individuale nell’agire».