A dieci anni dal terremoto dell’Aquila, Saverio La Ruina torna con il suo ultimo spettacolo nella tendopoli degli sfollati, in quei giorni di crolli e disperazione, per proporre il tema dell’incontro con l’altro, lo sconosciuto. Due uomini, un cristiano attempato e un giovane musulmano condividono lo spazio di una tenda, in un clima di ostentata insofferenza del primo, autoctono di quella zona devastata, verso lo straniero tunisino che prega compiendo esercizi ginnici, digiuna per il mese di Ramadam, non mangia carne di maiale. La ricerca in sottrazione di La Ruina per un’espressione minimale approda in questo Mario e Saleh (fresco di debutto a Romaeuropa festival) a una esagerata semplificazione. Con una  sorprendente ingenuità, uno dopo l’altro i precetti più consumati dell’Islam compongono la pièce, rendendola un opuscolo a uso del famoso uomo della strada che si spera arrivi – leggendolo – a scoprire l’umanità dell’altro diverso da sé. Ma i conflitti culturali necessitano di complessità per essere sanati. E forse poche parole non bastano. Nel 2008, tre anni prima dell’apocalittico 11 settembre, Stefano Taiuti coreografava in Salat/Preghiera proprio il cortocircuito di due ritmi di vita differenti, ma uniti nella danza.