Non è un caso che Non ci resta che l’amore di Angelo Ferracuti (Il Saggiatore, pp. 296, euro 20) prenda avvio da un incontro perché proprio il tipo di incontro, la sua forma e il suo stile definiscono al meglio come in un’istantanea chi sia stato Mario Dondero, quale fu la sua eleganza e il suo senso profondo dell’amicizia. Mario Dondero viveva in un perenne movimento, una ripartenza continua da un incontro all’altro, non inseguiva futili ambizioni o peggio ancora schematici progetti lavorativi, seguiva invece gli uomini e le donne, se ne incuriosiva lungo la strada fino a modificare radicalmente il proprio percorso.

QUELLO DI MARIO DONDERO era come lui stesso lo definiva un vagabondare sfrenato e libero dentro al quale cogliere attimi e fermare volti e non secondariamente incontrare persone, conoscerle, amarle e da loro farsi amare. È stato uno dei più grandi fotoreporter del Novecento, figlio di quel tempo che sta tra la lotta partigiana da lui intrapresa giovanissimo in Val d’Ossola e il bar Jamaica a Milano vera e propria fucina di artisti di ogni specie e razza; apocalittici e integrati tutti uniti in un apprendistato esistenziale che aveva la forma dei buchi alle scarpe e delle toppe ai cappotti e il sapore delle avventure salgariane. Impossibile fermare Dondero, difficile definire puntualmente le tappe del percorso di un uomo perennemente votato al futuro, al prossimo incontro, alla successiva e inaspettata curiosità, ma raccontare la magia del suo tocco non è poco, anzi è quasi tutto.

Ferracuti racconta infatti prima di ogni altra cosa la storia della sua amicizia con il grande fotoreporter, sentimento centrale nella vita come nell’opera di Dondero. Ed è partendo da questo sentimento intimo e privato che l’autore di Non ci resta che l’amore riesce a dare forma a un racconto che restituisce sia la rara umanità di Dondero sia l’assoluta qualità artistica dei suoi lavori. Troppo spesso infatti si è fraintesa in Dondero la sua facilità relazionale confondendola o peggio anteponendola alla serietà e alla fatica con cui intraprendeva il suo lavoro. Testimone di un secolo, parigino d’adozione e viaggiatore perenne del mondo e in particolare del continente africano (aspetto ancora poco noto e indagato), Dondero viveva per la cura della fotografia e non per la sua ossessione.

UNA CURA che prevedeva l’incontro, l’intesa solidale come a priori necessario a ogni scatto. La qualità della sua vita è così intrecciata alla qualità del suo lavoro, l’una non ha motivo di essere senza l’altra. Ferracuti traccia il racconto di una vita alternandolo agli incontri e ai ricordi comuni con Dondero: da un lato gli anni del dopoguerra e la pensione che condivideva con Luciano Bianciardi, dall’altro i progetti degli anni Novanta e Duemila di cui non pochi condivisi con Ferracuti. Un continuo avanti e indietro, un movimento necessario per un libro che diventa rappresentazione osmotica di Dondero.
Dare forma al suo stile, a quella che non erroneamente si può definire la sua eleganza è forse insieme a un repertorio di aneddoti e viaggi il tesoro principale di Non ci resta che l’amore. Angelo Ferracuti non costruisce una biografia di Mario Dondero, ma dà forma al suo incanto, al suo comparire all’improvviso e poi sparire, inghiottito in una nuova avventura, spinto da nuovi desideri.

DONDERO non badava ai propri affari così come non badava a dare forma ad una propria stucchevole mitologia ed è proprio per questo, per questa sua capacità di danzare nell’esistenza che ha saputo lasciare un numero sufficiente di tracce per poterlo interpretare. Ferracuti lo coglie appieno, lo sa vedere e far vedere in quegli interstizi di umanità e di luce che appartengono anche alla vita di ognuno di noi. Là dove molti scappano e fuggono, Dondero sapeva però restare con umanità e sguardo. Restava non semplicemente per una fotografia, ma rischiava tutto di sé per togliersi dalla scena e offrirla come si fa con un panorama prima che la luce cambi e il senso si perda.
Non ci resta che l’amore è il romanzo di Mario Dondero come recita il sottotitolo e della sua incredibile e sorprendente capacità di stare nelle cose e nella vita, rischiando tutto sempre, ma godendo di ogni singolo attimo, in un vero e proprio sfrenato vagabondare.