Chi si occupa di musica per ragioni professionali, di vita o per passione più o meno profonda non ha potuto e non potrà prescindere dall’opera di Mario Bortolotto, storico e critico musicale fra i più geniali e  brillanti della sua epoca, morto ieri nella sua casa romana, poche settimane dopo aver compiuto novant’anni. I suoi libri – da Fase seconda a Introduzione al Lied romantico, da Dopo una battaglia a Est dell’Oriente e Consacrazione della casa, da quelli su Wagner e Strauss alle traduzioni dei testi di Adorno e alle miscellanee recenti di studi e articoli (Corrispondenze e Fogli multicolori) editi sempre presso Adelphi – sono un patrimonio di cultura e sapienza che anche a distanza di decenni conserva autorità e attualità.

Difficilmente i suoi libri, per quanto ricchi, complessi e ramificati, possono però restituire appieno quella formidabile miscela di cultura, curiosità, originalità, dandismo, appetiti voraci e gusto della vita, luciferina bonomia e affettuoso cinismo, intelligenza e pugnace spirito critico che animava la personalità di questo singolare studioso. Una personalità poliedrica e talvolta inafferrabile, in cui coesistevano l’amore per la letteratura, l’arte e per il viaggiare, passioni pervasive e intrecciate, senza che l’una prevalesse sull’altra, a quella per la musica: musica studiata, praticata (al pianoforte), ascoltata, organizzata (fu per un decennio direttore artistico all’Orchestra Rai di Napoli, e i suoi programmi offrirebbero molti spunti anche oggi) e scritta.

Non a caso fra i suoi maestri ricordava Praz e Macchia, e si considerava più che altro «un viandante», ovvero «un uomo che ha amato più di tutto guardare». Oltre alle meraviglie di scintille, fatiche, stimoli e interrogativi suscitati dai suoi libri, restano anche alcuni splendidi cicli radiofonici realizzati negli anni Ottanta e Novanta per Radio Tre. Gli archivi Rai preservano infatti la cantilena amabile e pungente della sua voce, l’eloquio forbito e precisissimo in trasmissioni dedicate a Wagner, al teatro musicale, alla musica francese, a Strauss, a Puccini, ai grandi del XX secolo, fra cui isolava Stravinskij, Boulez, Stockhausen, Clementi.

E ancora, sempre punteggiate da battute fulminanti (guai per chi ne fosse il bersaglio), le esplorazioni dell’operetta viennese, senza trascurare Offenbach e i britannici Gilbert and Sullivan. Poterli riascoltare sarà un modo di ritrovare qualcosa di quell’impagabile conversatore, non di rado tendente all’onniscienza, il cui fascino inevitabilmente scompare con lui. A chi scrive resta la gioia privata di ricordare sempre il suo compleanno, essendo nato il medesimo giorno.