Il pallone nuovo di zecca si è bucato al primo rimbalzo e i padroni del calcio lo hanno nascosto tra i cespugli. Facendo finta di niente e fischiettando con le mani in tasca sono rientrati da una delle porte che lasciano sempre aperte. Il sistema calcio, che gli ideatori della Superlega ritenevano corrotto e complice a tal punto da non prevedere alcuna reazione, ha fatto crack e il progetto per ora non decolla. L’anima popolare del calcio è salva, dicono da più parti, ma intanto l’opinione dei più accorti è che gli animatori della Superlega, Andrea Agnelli e Florentino Perez, torneranno all’attacco.

STRETTI TRA LE MINACCE di ritorsioni da parte dell’Uefa e della Fifa, e il bisogno di alimentare la Superlega per mantenere gli stipendi alti, sono i calciatori, che giocano a tutte le ore tra campionati e partite di Coppa: «In questo delicatissimo periodo storico di crisi pandemica- afferma Umberto Calcagno ex calciatore della Sampdoria e oggi presidente dell’Associazione italiana calciatori (Aic), subentrato a Damiano Tommasi l’anno scorso – il nostro auspicio è che i nuovi format delle competizioni internazionali per club possano continuare a generare nuove e aggiuntive risorse, senza minare gli aspetti solidaristici e la competitività dei campionati nazionali, patrimonio dello sport e dei tifosi, che dovranno necessariamente essere preservati e potenziati».
Mario Beretta, ex allenatore del Torino, Parma, Lecce siede nel Consiglio della Federazione italiana gioco calcio ( Figc): « La Superlega è fatta di club che hanno un notevole indebitamento e cercano risorse in altro modo, poco rispettosi del merito sportivo. Una squadra come l’Ajax, che ha vinto quattro Champions non è stata neanche presa in considerazione, se la suonano e se la cantano tra di loro. I promotori della Superlega torneranno all’attacco, non desisteranno tanto facilmente. L’idea di una Superlega l’ha già realizzata l’Uefa, portando la Champions dalla vecchia formula in cui si prevedeva la partecipazione della squadra che aveva vinto il campionato a quella attuale di 32 squadre. Si salvaguarda il merito, tutti possono partecipare, vincere e arrivare in alto, come l’Atalanta che ha sfiorato la semifinale l’anno scorso. L’anima popolare del calcio sono i tifosi, gli allenatori, gli addetti ai lavori, in parte la marcia indietro salvaguardia questo aspetto, anche se il calcio ormai non è più solo uno sport, è diventato soprattutto business. Noi che siamo nel sistema calcio dobbiamo fare i conti con l’aspetto economico, che riguarda anche coloro che allenano o giocano in serie C e percepiscono uno stipendio di 1.200 euro al mese. La forbice tra questo mondo sotto la serie A e quello che guarda alla Champions e alla Superlega si allarga sempre più, una più equa distribuzione delle risorse economiche sarebbe auspicabile».

SULL’IPOCRISIA e sulla retorica che si è riversata a fiumi dopo l’annuncio della Superlega, pone l’accento Felice Accame, docente di Teoria della Comunicazione presso il Settore Tecnico della Figc a Coverciano, la scuola dove si formano allenatori e dirigenti sportivi del sistema calcio italiano: «L’operazione Superlega è in corso da anni. I campionati nazionali non soddisfano più il meccanismo produttivo. Il calcio deve il suo successo al fatto di essere stato unico in tutta la sua storia. Il calcio giocato all’oratorio aveva le stesse regole di quello giocato a San Siro o la Maracanà. L’unitarietà si è incrinata, a partire dai mezzi elettronici per rilevare se la palla ha superato la linea di porta o no, e da tutti gli altri introdotti dal calcio di élite, questo ha scalfito il principio etico di base. Il calcio è diventato moltiplicabile».

«TRA LE MASSIME autorità intervenute in questi giorni – continua Accame – dal presidente della Fifa Gianni Infantino a Mario Draghi, tutti hanno fatto un riferimento etico, accompagnato da una certa retorica “il calcio è dei tifosi”. Se ci fosse un azionariato popolare, ci sarebbe un controllo dei tifosi, ma così non è. Nel momento in cui si concepisce il calcio come un insieme di imprese, diventa aziendale. Le istituzioni calcistiche sono compromesse con questo processo, hanno accetto cambiamenti imposti dalle pay-Tv in nome del profitto».